Sabato 11 giugno, alle 9, in Duomo, la solenne celebrazione presieduta dall’Arcivescovo (diretta tv e web). Il rettore del Seminario don Enrico Castagna: «Auguro loro di continuare a essere umili, di riuscire a intercettare i bisogni della gente, di sapersi orientare alla sinodalità e al discernimento condiviso»
di Ylenia
Spinelli
Sabato 11 giugno sarà festa grande per il Seminario e l’intera Diocesi. Con una solenne celebrazione, a partire dalle 9, nel Duomo di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini ordinerà ventidue sacerdoti (vedi qui il loro tableau): diretta su Telenova (canale 18 del digitale terrestre), Chiesadimilano.it e Youtube, vedi qui il libretto liturgico.
Hanno un’età compresa tra i 24 e i 58 anni, alle spalle storie personali differenti. Tra loro ci sono ingegneri, infermieri, esperti in comunicazione, un veterinario, un idraulico, un insegnante di religione. Prima di entrare in Seminario, c’è chi ha sperimentato la vita monastica, chi ha lavorato al Consiglio regionale della Lombardia e chi nelle istituzioni, girando tra Milano, Roma, Strasburgo e Bruxelles. Accomunati dalla stessa vocazione, si avvicinano al ministero con gioia, consapevoli delle fatiche che nella Chiesa e nella società di oggi non mancheranno, ma fiduciosi nella promessa che Gesù rivolge ai suoi discepoli e ai cristiani di ogni tempo: «Io sono con voi». Ne parliamo con don Enrico Castagna, rettore del Seminario di Milano.
Ventidue preti novelli è un buon numero…
Quello che oggi sembra un buon numero, anni fa sarebbe parso esiguo. Di fronte a ogni ordinazione presbiterale, al di là dei numeri, si deve ringraziare il Signore riconoscendo, nell’«Eccomi» di alcuni uomini, un segno della fedeltà di Dio alla sua Chiesa. Nel numero esiguo degli ingressi in Seminario di questi “anni-Covid” si deve, ugualmente, riconoscere una sfida che va interpretata. C’è, in questo, materia per essere sollecitati a interrogarsi, tutti insieme, sulle proposte vocazionali, sul cammino di formazione verso il ministero e su come essere Chiesa oggi.
Crede che il Seminario li abbia ben formati o il ministero si impara sul campo?
C’è da sperare che il Seminario abbia offerto loro la possibilità di vivere buone esperienze di preghiera, di fraternità e di missione. Tuttavia non tutto può e deve essere previsto, la formazione continua nel ministero. Ciò che conta è che il seminarista, nel tempo della formazione, interiorizzi un buon metodo per imparare dalla vita, per rimanere sempre in una postura di docilità allo Spirito. Auguro ai nuovi presbiteri che continuino a essere umili, che non abbiano troppa fretta di rispondere a tutte le domande che verranno loro poste, che sempre si lascino accompagnare dalla Chiesa e, in essa, da qualche fratello più ricco di esperienza.
Quali sono i bisogni della gente in un periodo difficile, dal punto di vista economico, sanitario, internazionale, come quello che stiamo vivendo? Che cosa sarà richiesto a questi presbiteri?
La domanda è complessa. Mi limito a dire che lamentarsi di ciò che non funziona non è molto spirituale. A questi presbiteri e alle nostre comunità sarà sempre più richiesto di andare oltre il «si è sempre fatto così». Occorre intercettare i bisogni della gente di oggi, partire da essi, per ampliarli fino a raggiungere le più profonde domande di senso. È, per certi versi, quello che si è sempre fatto e che si fa.
La società, la Chiesa è cambiata, dopo i vari lockdown; il «fare discepoli tutti i popoli» è un compito sempre più difficile. Che fare?
Qualunque cosa si faccia è importante lo si faccia insieme. «Io sono con voi» è il motto di questa classe. La nostra consolazione sta nella percezione che siamo un “noi” e che nella Chiesa abita il Signore Gesù, vero protagonista della missione. Il “noi” cui ci riferiamo è la comunità ricca di carismi che vanno riconosciuti e apprezzati, è il presbiterio la prima famiglia di un prete. In questo cammino comune ci si deve orientare verso la pratica buona della sinodalità e del discernimento condiviso. I novelli presbiteri sono chiamati a testimoniare questo stile e attendono di poterlo vedere e imparare nelle comunità cui saranno inviati.
Con quali sentimenti una comunità deve accogliere i novelli preti?
Lo stile con cui una comunità accoglie o meno un prete evidenzia la sua maturità o le ferite dovute alla sua storia. In qualche caso il prete, giungendo in una comunità, percepisce subito uno sguardo indagatore o una sorta di confronto eccessivo con chi c’era prima. Altre volte si incontrano persone o comunità più mature e riconciliate che, fin da subito, fanno percepire una sorta di stima e di gratitudine previa per il prete loro inviato. Auguro ai preti novelli di essere sorpresi e convertiti dall’accoglienza che riceveranno.
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