«In questa città ho un popolo numeroso» è il titolo del volume di mons. Redaelli, Vicario generale della diocesi. Pubblichiamo un brano della presentazione, scritta dall'Arcivescovo
Dionigi TETTAMANZI
L’anno sacerdotale, proposto dal Santo Padre Benedetto XVI il 19 giugno 2009, sta spingendo l’intera Chiesa a pregare e a riflettere sulla figura del sacerdote. Si ripropone così, ancora una volta, il tema fondamentale della “identità” del sacerdote, una questione sempre attuale e, per certi versi, mai risolta in termini totalmente definitivi. Il presbitero, infatti, si definisce non come essere chiuso in se stesso, ma per la missione ricevuta dal sacramento dell’Ordine: si tratta di una missione che è, da un lato, sempre la stessa – l’annuncio del Vangelo -, dall’altro lato, sempre nuova nel senso che è rivolta a uomini che vivono nella storia, e dunque nel continuo cambiamento del mondo. (…) Tra le caratteristiche del mondo attuale sta quella del suo essere diventato una realtà globalizzata e urbanizzata: sembra di essere tutti parte di un’unica e grande città, dove tutto quanto succede è contemporaneo, dove il vivere è sottoposto ad un flusso incessante e travolgente di informazioni, ma dove paradossalmente si ha spesso la sensazione di essere soli, tremendamente soli, in un’immensa folla anonima. Come annunciare il Vangelo dentro questa città senza confini? È possibile o la città è per definizione un ambiente ostile al Vangelo e l’urbanizzazione sfocia inevitabilmente nella perdita del riferimento a Dio, nella diffusione della secolarizzazione, nella caduta nel relativismo? Le riflessioni che monsignor Carlo R. M. Redaelli, Vicario generale della Diocesi di Milano – una grande “area urbanizzata” di più di 5 milioni di abitanti -, ci regala (attraverso il libro In questa città ho un popolo numeroso, ndr) vogliono essere il tentativo di cercare e di trovare nella Parola di Dio una risposta a questi interrogativi. E per certi versi la risposta è sorprendente: se l’alfa della storia è costituita dal giardino originario, il compimento della storia dell’umanità – l’omega – non è un ritorno all’Eden, ma è una città: la città santa. La città quindi è la meta verso cui gli uomini si stanno incamminando.
Èvero, si tratta della “città santa”, della “sposa dell’Agnello”, diversa dalla città degli uomini, spesso simile alla “grande prostituta”, ma la città terrena, pur con i suoi limiti, non cessa di essere già l’inizio della città santa. Pur con le sue ambiguità, con il suo essere in bilico tra il realizzarsi come sposa o come prostituta, la città degli uomini non è un ambito totalmente refrattario all’annuncio del Vangelo, anzi, spesso è un contesto favorevole. Lo ha rivelato il Signore Gesù ad un apostolo, Paolo, assai preoccupato per l’evangelizzazione di Corinto: «Non aver paura, continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso» (Atti 18, 9-10). Partendo dal giardino dell’Eden, passando per Babele, Ninive, Babilonia, Nazaret, Cafarnao, Gerusalemme, Damasco, Antiochia, Atene, Corinto, Roma sino a giungere finalmente alla città santa, l’autore ci presenta il rapporto – non sempre facile, complesso e insieme affascinante – del profeta e dell’evangelizzatore con la città: Giona, Daniele, Paolo e lo stesso Gesù.
L’intento è quello di portare i lettori – e, prima, gli ascoltatori, preti e seminaristi, che hanno meditato queste pagine durante alcuni corsi di esercizi spirituali – alla convinzione che l’identità del prete, oggi e nel futuro, non può prescindere dalla città dal momento che tale identità si precisa in riferimento a quella missione evangelizzatrice che si rivolge alla città stessa. Certamente senza ingenuità e senza facili irenismi, ma con grande fiducia e incrollabile speranza. (…)