Disponibilità, fatica e anche idee nuove tra chi ha prestato servizio nell’accoglienza dei fedeli durante la pandemia. Ecco alcune voci
di Annamaria
BRACCINI
In vista dell’incontro di ringraziamento del 2 giugno a Rho con l’Arcivescovo, pubblichiamo le testimonianze di alcuni volontari che hanno prestato servizio nell’accoglienza dei fedeli durante la pandemia. Nelle loro voci, un bilancio dell’attività svolta, l’auspicio di contare su altri collaboratori e la volontà di continuare anche oltre l’emergenza
Incoronata: altoparlanti sul sagrato
«Il nostro servizio è iniziato subito dopo il primo lockdown. All’inizio, in una maniera molto stringente con altri, mi sono occupato dell’organizzazione e della rotazione dei volontari relativamente alle celebrazioni del sabato pomeriggio e della domenica, per avere sempre disponibile qualcuno che controllasse gli ingressi, verificasse il distanziamento corretto, l’igienizzazione delle mani, le mascherine con naso e bocca coperti. Abbiamo poi proseguito attenuando un poco la presenza in luglio e agosto, quando l’affluenza alle Messe è minore, continuando fino a ora».
Giuseppe Testa, ingegnere, che durante il Covid ha operato e opera come volontario nella chiesa di Santa Maria Incoronata, inserita nella Comunità pastorale Paolo VI in pieno centro a Milano, ripercorre i momenti più complessi di un servizio solo apparentemente semplice, ma la cui organizzazione ha ovviamente richiesto attenzione particolare, sensibilità e pazienza. E anche creatività, come l’idea di porre altoparlanti sul sagrato per poter permettere a più fedeli di partecipare alle celebrazioni.
Adesso come sta andando?
In questi giorni c’è una sorveglianza meno stretta: mentre prima ci occupavano anche di impedire gli assembramenti, con controlli stretti all’ingresso, ora non è più così. Tuttavia, per esempio, il fatto di aver potuto seguire la Messa all’esterno della chiesa, grazie agli altoparlanti, mi pare significativo, perché ha dato la sensazione dell’accoglienza, di una preoccupazione e un impegno vicendevole per la sicurezza di tutti. Mi pare una cosa molto positiva. Infatti, anche la notte di Natale e in pieno inverno abbiamo proposto con successo le celebrazioni con diffusione sonora all’aperto.
Avete avuto proteste da parte dei fedeli?
Qualche contestazione c’è stata, però la maggior parte della gente era consapevole e contenta di questo servizio. C’è stato qualcuno di poco collaborativo, ma che contestava in generale, non l’aspetto particolare del nostro impegno. Però vorrei dire che per continuare, come sarebbe giusto, occorre un’adesione più ampia, perché, sinceramente, mi sarei aspettato una maggiore disponibilità. Noi siamo 3-4 volontari, sempre gli stessi.
Cisliano: vinti i timori iniziali
«Coordinavo un gruppo di 12-13 volontari per le celebrazioni nella nostra chiesa di San Giovanni Battista a Cisliano, non molto grande, avendo una capienza di 100 persone; per l’oratorio, ovviamente, i volontari erano molti di più.
Maria Luisa Isella, architetto, referente Covid anche per le attività di catechismo e per l’oratorio estivo, non ha dubbi: il servizio offerto, in epoca di pandemia, è stato particolarmente utile anche per chi lo ha svolto: «Abbiamo volontari di tutte le età: partiamo dai trentenni – sia per ragioni di sicurezza, sia perché i ragazzi non si sono resi molto disponibili – e arriviamo fino ai 70-80 anni. Le persone, che all’inizio avevano timore, si trovavano spaesate, con il tempo si sono affezionate ai volontari. L’accoglienza, parlare, stare vicino, gestire, come referente Covid, le mail che arrivavano, non è stato semplice, specie nei primi tempi, ma non ci siamo scoraggiati. Soprattutto nelle festività più solenni e per le celebrazioni domenicali penso che si possa e si debba continuare sulla strada intrapresa di questo tipo di accoglienza. Per esempio, è bello vedere arrivare le catechiste che accolgono i bambini, li portano al loro posto, perché sembra che qualcuno ti aspetti come avviene in famiglia».
Imbersago: come in famiglia
Ventiquattro anni, studente di Biogeoscienze, Matteo Cogliati di Merate fa il volontario presso il Santuario della Madonna del Bosco di Imbersago.
«Da maggio 2020, su incarico del Rettore padre Giulio Binaghi, ho iniziato a gestire una trentina di volontari – racconta -. Il nostro compito era avere cura dei fedeli, anzitutto, per facilitare l’entrata in Santuario e poi per tutte attenzioni necessarie. Il Santuario aveva capienza massima di 96 posti, quindi una volta raggiunta questa cifra si andava in Penitenzieria, 99 posti. Avevamo quattro volontari all’esterno. Posso dire che è andata bene. Ovviamente c’è stata qualche contestazione, ma è stato bello anche per i fedeli, specialmente all’inizio, poter contare sulla nostra presenza perché si sentivano sicuri. Occorre puntare ancora su questo “Servizio Accoglienza”, come scritto sulle nostre pettorine, perché è importante. Con il passare del tempo mi sono accorto che, lasciando a casa la mia famiglia, arrivare in Santuario significava e significa entrare in un’altra. Questa spinta mi sprona a fare il volontario con gioia. Non mi pesa questo servizio che è comunque impegnativo. Perché di domenica si sta in Santuario, invece che fare il week-end? Perché si sta bene con gli altri, si è creata una famiglia, una vera amicizia».
Rho: la gente ha capito
Un’esperienza bellissima che ha visto l’adesione di moltissime persone. Così Antonio Picheca, responsabile del Servizio Accoglienza del Santuario di Rho, definisce l’impegno dei tanti volontari che, nei diversi periodi della pandemia, hanno assicurato il rispetto delle regole indicate dalla Diocesi. Regole applicate alla lettera, ma anche mettendo in campo fantasia e «volto umano», dopo la richiesta venuta dal superiore della comunità dei Padri Oblati Missionari di Rho, monsignor Patrizio Garascia, «che ci ha indicato di essere il più disponibili possibile, rendendo meno difficoltoso, per i fedeli, doversi adeguare alle nuove disposizioni».
Da qui, prosegue Picheca – direttore di una grande azienda alimentare -, l’attivazione del servizio «per la gestione dell’entrata in Santuario, con tutto ciò che i protocolli prevedevano. Da subito ho ricevuto molte adesioni per il volontariato. Attualmente siamo 40, mentre quando abbiamo iniziato eravamo 20-25. Tra noi ci sono giovani e meno giovani, ma tutti entusiasti; molti avevano già qualche impegno di volontariato, magari come lettore o ministrante, ma la gran parte era alla prima esperienza».
Come avete operato?
Abbiamo innanzitutto sistemato il Santuario secondo le disposizioni, poi abbiamo allestito l’area dell’entrata con la cartellonistica e la zona per sanificare le mani. Inoltre abbiamo distinto le panche in modo adeguato e ci siamo organizzati in turni da 4-5 persone, ciascuna con il proprio compito. Siamo stati attivi per tutte le celebrazioni di ogni settimana e siamo stati presenti anche in diversi eventi.
Avete incontrato difficoltà?
I primi tempi sono stati più complicati, ma siamo stati gratificati e ringraziati dalla gente che ha capito. Ci aspettavamo che fosse più complesso, ma abbiamo avuto solo soddisfazioni.
Vi state organizzando anche per l’accoglienza dell’incontro del 2 giugno?
Certo, anzi, siamo già organizzati.