La sinergia tra la Casa della Cultura Musulmana e la parrocchia Beata Vergine Addolorata ha ideato gli incontri del giovedì tra giovani delle due fedi. Mahmoud Asfa ne parlerà il 7 maggio all’Arcivescovo in Visita pastorale nel Decanato
di Annamaria
Braccini
Un segno dei tempi, un segno bello che indica la volontà di confrontarsi, di conoscersi, di dialogare, tutti insieme per delineare il volto di una Milano di domani che è già qui. È l’incontro che l’Arcivescovo, durante la Visita pastorale nel Decanato San Siro-Sempione-Vercellina, avrà nella mattinata di sabato 7 maggio con Mahmoud Asfa e Mahmoud Whajdi, esponenti della comunità musulmana cittadina. «Sicuramente è un segno positivo per il quartiere di San Siro, così complicato, con tante difficoltà e tanti giovani», spiega Asfa, presidente del Consiglio direttivo della Casa della Cultura islamica di Milano, da molti anni impegnato nel dialogo interreligioso.
Certamente le famiglie di religione islamica presenti nella zona di San Siro sono numerose. Cosa dirà all’Arcivescovo?
Racconterò quanto stiamo facendo con la nostra Casa della Cultura Musulmana in sinergia con la parrocchia Beata Vergine Addolorata in San Siro, insieme a don Fabio Carcano. Infatti ogni giovedì parliamo ai ragazzi, cristiani e musulmani. Ritengo che quest’iniziativa, avviatasi quasi due anni fa, realizzi un incontro molto positivo tra le future generazioni che, giocando e divertendosi, ma anche parlandosi, imparano a conoscersi e a capire le rispettive fedi. Infatti c’è anche il momento religioso, per il quale ognuno ha un’ora di tempo.
Quanti sono mediamente i ragazzi che partecipano e di quale età?
Una sessantina nel complesso, di età compresa tra i 13 e i 16 anni.
Riuscire a far dialogare le giovani generazioni è la via del futuro per migliorare il rispetto reciproco e sviluppare un modo migliore di convivenza?
Sicuramente, specie considerando che la loro è un’età molto difficile. Però vedo con piacere che i ragazzi aspettano questi momenti con ansia. Faccio sempre l’esempio di una tazza di the: possiamo addolcirlo con lo zucchero, ma senza un cucchiaino per mischiarlo lo zucchero non si scioglie; così noi educatori o religiosi dobbiamo cercare di muovere lo zucchero all’interno della tazza di tè, che così diventa più buono e gradevole. In questo lavoro che stiamo portando avanti, sentiamo che i giovani stanno migliorando dal punto di vista educativo, del rispetto, del dialogo tra loro e, quindi, della pacifica convivenza: credo che sia la strada giusta. Di questo parleremo all’Arcivescovo, sperando di replicare quest’iniziativa laddove se ne realizzino le possibilità.
Di cosa hanno maggiormente bisogno i giovani in una città e una società come le nostre?
Anzitutto del lavoro, perché ci sono tanti 18-19enni che non trovano uno sbocco occupazionale. È chiaro che quelli che frequentano i nostri giovedì pomeriggio sono più piccoli e devono studiare: tuttavia, in senso più generale, mancano progetti sociali in quel quartiere in particolare, abbandonato per troppo tempo al suo destino. I nostri ragazzi hanno bisogno di migliorare la loro vita perché c’è tanta povertà, hanno bisogno di prospettive, di un domani. Inoltre per la comunità musulmana c’è la questione delle guide educative, perché ci manca uno spazio che diventi di riferimento per l’educazione, ma che sia anche di preghiera, di approfondimento della fede. Altrimenti rischiano di rimanere per strada e di trovare lavoro facile, ma sporco; dopo, come si fa a recuperarli? È sempre meglio prevenire che curare, anche perché, talvolta, le ferite sono così profonde che è difficile persino raggiungerle.