L’Arcivescovo ha dialogato con gli amministratori locali della Zona pastorale V. Al cuore dell’incontro, le esperienze vissute “sul campo” dai sindaci e le terapie per l’emergenza educativa
di Annamaria
Braccini
«Abbiate la fierezza di riconoscere e far riconoscere la vostra capacità di fare il bene. Per tutto ciò che fate io vi ringrazio». Parola dell’Arcivescovo di Milano che nell’incontro, divenuto ormai tradizionale con gli amministratori locali della Zona Pastorale V-Monza, ribadisce la sua stima, già espressa nel Discorso alla Città del 2021, per chi si occupa quotidianamente della cosa pubblica in comuni piccoli e grandi.
Insomma, i sindaci e i loro collaboratori che affollano l’Auditorium della Provincia di Monza e Brianza. E proprio a partire dall’ultimo Discorso dell’Arcivescovo “…Con gentilezza: Virtù e stile per il bene comune” e dall’intreccio tra alcuni temi fondamentali come le emergenze educativa, del Covid e della guerra in atto, si articola il dialogo tra i primi cittadini – 7, uno per ciascuno degli altrettanti decanati della Zona (Monza, Cantù, Carate Brianza, Desio, Lissone, Seregno-Seveso, Vimercate), – e il vescovo Mario. Accanto a lui, il vicario di Zona, monsignor Luciano Angaroni, il presidente di “Monza-Brianza”, Luca Santambrogio, a sua volta sindaco, e il responsabile della Pastorale sociale per la Zona stessa, Sabino Illuzzi.
«Tocca a noi saper dare assistenza, sostegno e misure di welfare essendo spesso bersaglio delle critiche», nota subito Santambrogio che richiama l’espressione dell’Arcivescovo, “artigiani del bene comune”.
«Qui abbiamo la fortuna di amministrare botteghe del bene comune. Molte misure che abbiamo messo in campo hanno dato coraggio, per non fare sentire indietro nessuno. La pandemia e, adesso, la guerra ci stanno mettendo nelle condizioni di riscrivere il modo di operare. Si combatte la disaffezione con la buona politica che si fa partendo dal territorio».
Fare rete, passare al “noi”
Sulle buone pratiche fatte di piani condivisi e sinergie, sempre più praticate nei Comuni della Zona, si soffermano i sindaci che parlano, ad esempio, della Fondazione della Comunità di Monza e Brianza e del Progetto “Opportunità mobili” che «nella prima fase prevede la creazione del Tavolo di raccordo delle Politiche Giovanili a cui partecipano i giovani stessi, i Comuni coinvolti, le Scuole Secondarie, i Centri di Formazione Professionale, i rappresentanti degli Enti del Terzo Settore e le Comunità Pastorali, con lo scopo di creare un luogo permanente di confronto e progettazione».
E, ancora, il Fondo “Contrasto nuove povertà” che si fonda su «fiducia, dialogo, ascolto, relazioni come parole-chiave con la valutazione dei primi 5 progetti che hanno come obiettivo di contrastare la povertà educativa, la povertà economica e la povertà digitale». Fondamentale, in tale contesto, l’alleanza – più volte evidenziata – tra Comuni e parrocchie definita «processo indispensabile per cui ringraziare». Non mancano realtà come il Progetto “Le Ali” per aiutare giovani e famiglie che vede uniti il Decanato di Carate Brianza, Caritas, Pastorale Giovanile con il sostegno del Comune.
Il “grazie” dell’Arcivescovo
«Sono veramente ammirato da queste riflessioni perché vi leggo sapienza, concretezza e senso di responsabilità che fa fronte alle situazioni e non dubita che lo si debba fare», osserva subito il vescovo Mario che ammette di non avere ricette, ma solo suggerimenti da offrire.
«L’immagine dell’amministrazione che qui si coglie rivela la sua forza contro ogni discredito che manifestano talvolta i cittadini. I sindaci, proprio per la prossimità, meritano la stima non solo dei loro elettori, ma dell’intera comunità di cui si fanno carico».
Laddove, negli anni scorsi, era sembrato di sentire una certa mortificazione della volontà di fare degli amministratori, a causa della burocrazia soffocante, dalla mentalità di trovare comunque bersagli e di un controllo sulle spese «talvolta risultato paralizzante, forse ora, anche per le nuove risorse e le direttive del governo, pare di cogliere maggiore scioltezza», dice ancora monsignor Delpini indicando tutto questo quale «sintomo promettente», anche nelle difficoltà prima del Covid e, ora, del conflitto. Anche se le sue cose – avverte – non sono sovrapponibili, perché «la pandemia è causata da un virus, ma questa guerra è causata dagli uomini. Allora eravamo disorientati, oggi le nostre comunità sono più capaci di reazione, meno spaventate e più determinate a far fronte. Sono due tragedia entrambe sconcertanti, ma in modo diverso».
Il focus rimane, comunque, sull’emergenza educativa.
Le terapie per l’emergenza educativa
«Cureremo questo problema non con la forza del “devi”, che spinge i ragazzi avanti, ma con l’attrattiva. La spinta con imperativi e comandi non è una cura, infatti, ma un elemento della fatica, perché induce i giovani a sentirsi senza un’aspettativa».
Insomma, occorre interrogarsi sulla possibilità di indicare mète desiderabili, soprattutto perché gli adulti spesso si lamentano, non vedono, a propria volta, gli aspetti promettenti della vita. «I ragazzi, se ci ascoltano, come potranno desiderare di diventare adulti?», si chiede il Vescovo.
Si tratta di insistere, allora «più sulle motivazioni che sulle condizioni, che pure sono importanti come dimostrano i progetti presentati. Dobbiamo dimostrare che vale la pena diventare adulti, promettere non solo una sistemazione, ma una vocazione», anche fuori – come è ovvio – del significato più specificatamente ecclesiale, perché «questo è il segreto per contribuire a risolvere l’emergenza educativa»
Ma qual è «la terapia»?
Anzitutto, il dialogo. «Potremmo offrire parole buone per guarire, ma ciò implica una disciplina nel nostro parlare che non può essere solo un’espressione deprimente o di sconfitta».
Naturalmente, è il tema complesso della nuova comunicazione. «Perché i social sono contenitori di tanta violenza, bullismo, volgarità incontrollabili? Siamo del tutto impotenti a testimoniare che gli strumenti siano al servizio del bene invece che del male?».
«Il tema della parola come terapia deve essere l’elaborazione di una disciplina del nostro modo di comunicare che porti i ragazzi ad ascoltare più le parole buone che l’aggressività».
Seconda terapia, ma fondamentale, la speranza, «dimostrando che si può vivere da adulti prendendo su di sé le responsabilità come un qualcosa di attraente».
«La crisi demografica dice che non siamo più capaci di rimediare ai danni di questo mondo rovinoso e di generare un mondo nuovo. Che molte persone non desiderino sposarsi e avere figli è frutto della mancanza di speranza».
E, infine, ciò che è più praticabile, che «già state, stiamo facendo: camminare insieme, adulti e ragazzi, come un “noi” che ci fa anche soggetti politici perché ci prendiamo cura insieme del bene comune. È la via che si può descrivere in modo analiticamente persuasivo, chiamandoci per nome e realizzando legami intergenerazionali».
Da qui, l’appello. «Sindaci potete visitare i vostri giovani e i nonni: in questa arte siete maestri, esplicitatela. L’amministratore comunale non è in primis il gestore di eventi, di risorse o di strutture, così come non lo è il parroco: è l’adulto che cammina a fianco delle generazioni. Vi raccomando la fiducia che dobbiamo avere, non perché siamo degli illusi o ingenui, ma perché sappiamo di avere la capacità di affrontare i problemi, anche se non si può risolvere tutto».