Vite spezzate, corpi lasciati sulle strade, fosse comuni: la guerra è anche questo

di Maria Chiara Biagioni
Agensir

Bombardamenti su Kiev
L'incendio che si è sviluppato in un magazzino di prodotti congelati a seguito dei bombardamenti su Kiev (foto Ansa / Sir)

C’è un’altra emergenza in Ucraina e sono i morti. Corpi senza vita lasciati per le strade di città blindate e circondate, mucchi di macerie. Corpi che non sono potuti ritornare dai propri cari ed essere degnamente seppelliti. Ne parliamo con padre Mykhajlo Melnyk, sacerdote della diocesi di Kamienets-Podilskyi della Chiesa greco-cattolica ucraina.

Cimiteri a cielo aperto

«Abbiamo città qui in Ucraina che sono diventate cimiteri a cielo aperto. I missili russi stanno massacrando la nostra popolazione, stanno bruciando le nostre città. Nella sola città di Mariupol si contano oltre 2 mila morti ma anche le città vicino Kiev, come Irpin e Bucha, sono circondate dai soldati russi che non ci permettono di raccogliere i cadaveri per seppellirli». Giovedì scorso, padre Melnyk si trovava con un gruppo di sacerdoti a Irpin: «Ci siamo vestiti da preti e siamo andati a chiedere ai soldati russi di poter prendere i civili morti per poterli seppellire».

Dopo varie trattative, sono stati recuperati 63 corpi. Erano stati lasciati per strada da 2/3 giorni. Sono stati messi dentro una busta nera e gettati in una fossa comune. Il gruppo di sacerdoti si è avvicinato e ciascuno ha potuto recitare una preghiera e benedire le salme.

L’appello

Da quella esperienza, padre Melnyk lancia un appello: «Il diritto internazionale prevede in situazioni di emergenza corridoi umanitari per il passaggio in sicurezza delle persone e degli aiuti. Noi chiediamo corridoi anche per i corpi dei civili e dei soldati morti perché possano essere seppelliti. C’è tra l’altro il rischio che questo elevato numeri di cadaveri non custoditi e con temperature che si stanno alzando possa scatenare epidemie». Ma è un appello che vale e si rivolge a tutte le parti, a russi e ucraini: «Anche le mamme russe hanno il diritto di raccogliere e dare l’ultimo saluto ai loro figli – dice il sacerdote -. Auguro che la Chiesa ortodossa di Mosca e soprattutto il patriarca Kirill facciano pressione perché i corpi dei soldati possano tornare a casa, dalle loro mamme. È un impegno di carità e rispetto cristiano».

Diritto al nome

C’è il diritto di dare un nome e cognome ai corpi, essere restituiti alle proprie famiglie, essere seppelliti. «È un diritto che appartiene alla condizione umana. Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. La speranza che è questo spirito di umanità prevalga su ogni logica di strategia militare e geopolitico». Il sacerdote confida: «Stando qui, ho capito cosa significa la pace. Prima era una parola. Adesso è un valore. Ho capito che dalla parola pace dipendono le vite. Vorrei allora che governi europei e mondiali non si dicano orgogliosi per i soldi che hanno investito nelle armi perché quelle armi stanno uccidendo persone, bruciando città, svalorizzando la dignità umana. Dobbiamo fermare questo orrore, lavorare per un cessate il fuoco. Perché qui stanno morendo i civili, i bambini. Persone innocenti e non ci sono ragioni strategiche che possano giustificare un simile massacro”.

Sono parte della vita

Don Andriy Zelenskyy è cappellano militare. Ogni giorno posta su Facebook i volti di giovani soldati ucraini che hanno perso la vita sul campo. «È difficile parlarne – ammette cambiando subito voce -. Non sono solo persone che conoscevo. Facevano parte della mia vita. Ogni giorno, sparisce qualcuno. A volte, forse, non ci rendiamo conto. Ma dietro quel volto, quel nome, quella perdita, c’è una storia, c’è un amore, ci sono dei bambini, c’è una madre e un padre. Sono vite pieni di passioni, impegni, lavori, amicizie. Ogni volta che arrivano notizie di soldati morti sul campo, un pezzo del mio mondo dentro crolla. È difficile da sopportare e non so come potrò elaborarlo. Il mondo di una persona sparisce». 

Su questa esperienza a fianco della vita e della morte, don Zelenskyy, gesuita, ci sta riflettendo molto in questi giorni: «Il destino dell’umanità oggi si trova nelle nostre mani. Ma la responsabilità comincia con l’onestà. Se non siamo onesti, se non chiamiamo le cose con il loro nome, se non riusciamo a riconoscere il male e a dire al male a voce alta e ferma, “fermati!”, domani questo male sarà sempre più forte».

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