In tre serate a Peschiera Borromeo (14 marzo), Muggiò (28 marzo) e Rozzano (11 aprile) monsignor Delpini dialogherà con i ragazzi condividendone speranze e paure. Ne parla don Stefano Guidi

di Annamaria Braccini

Adolescenti_Gorgonzola

Sì, i cresimandi e i cresimati torneranno a San Siro, dopo due anni, e la festa sarà grande. La notizia è di quelle che vanno sulle prime pagine dei giornali – ed è giusto che sia così -, ma forse pochi sanno che i percorsi per stare accanto ai nostri ragazzi, specie agli adolescenti in questo momento di ripartenza di tante attività, sono assai più articolati, riservando volutamente un’attenzione particolare alla base, agli oratori e alle loro attività. Insomma, non solo location prestigiose, spalti gremiti – per quanto attesissimi -, ma la “ferialità” del proprio oratorio sottocasa, là dove si cresce giorno dopo giorno. Così come sottolinea don Stefano Guidi, direttore della Fondazione degli Oratori milanesi.

Quali sono gli appuntamenti più significativi di questo cammino? 
I più ravvicinati sono le tre serate che l’Arcivescovo vivrà negli oratori di Peschiera Borromeo (14 marzo), Muggiò (28 marzo) e Rozzano (11 aprile), volendo incontrare gli adolescenti nelle serate della settimana e nel luogo in cui normalmente si radunano per valorizzare l’importanza dell’esperienza quotidiana.

Perché questa scelta?
L’Arcivescovo vuole incontrare di persona questi giovani e giovanissimi in ambienti per loro conosciuti e consueti. Chiaramente la sua presenza dice ancora una volta quanto sia importante il ruolo dell’oratorio come luogo di confronto e di crescita, spazio che permette agli adolescenti di costruire quelle amicizie sane, quelle compagnie e riferimenti importanti per la vita di cui l’Arcivescovo stesso ha parlato nella lettera Fellowers (leggi qui la presentazione, ndr). Insomma, l’oratorio come l’ambiente privilegiato in cui sperimentare l’amicizia e scoprire il Vangelo, Gesù come amico della nostra vita. Una fede vissuta come amicizia.

Don Stefano Guidi

Quell’amico affidabile che può avere il volto dell’Arcivescovo, di un educatore, di un compagno di viaggio, dei coetanei finalmente incontrati di persona… Questo può smuovere quelle paure che sembrano aver paralizzato tanti dei nostri ragazzi, infondendo fiducia e nuovo slancio?
Esattamente. Infatti in queste serate l’Arcivescovo si metterà in ascolto. Non sarà un incontro, diciamo così, “di cattedra”, ma di condivisione semplice e informale, in cui dialogherà a partire dalle domande che i ragazzi si portano dentro e che hanno preparato in queste settimane.

Che tipo di interrogativi, per esempio?  
Saranno spunti e provocazioni emersi dopo la lettura, approfondita in tutti gli oratori, della lettera agli adolescenti intitolata Fellowers. Questioni tutte attraversate dalla fatica della pandemia e, in questi ultimi tempi, della guerra. Molte delle domande e delle preoccupazioni, anzi, riguardano proprio questo punto: la situazione nuova che si è creata e il desiderio di capire cosa stia accadendo, per affrontare insieme paure e speranze.  

Di fronte a un’emergenza educativa, aggravata dalla mancanza di incontri in presenza e dalla didattica a distanza, l’obiettivo è quello di aiutare, specie gli adolescenti, nell’anno straordinario loro dedicato, a sentirsi parte di un insieme, di un gruppo?
Certamente. Così come l’Arcivescovo – che pur da lontano ha continuato a essere vicino con i suoi tanti messaggi ai nostri ragazzi – ha sempre chiesto. Voglio sottolineare la delicatezza con cui ci ha sempre indicato la necessità di fare rete, di costruire comunità. Un desiderio, una responsabilità che ognuno condivide con gli altri e che, mai come adesso, pare necessaria.

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