All'inizio della Quaresima, nella Basilica dei Santi Apostoli e Nazaro Maggiore l'Arcivescovo ha presieduto la Veglia con l’imposizione delle Ceneri per gli universitari

di Annamaria Braccini

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L'Arcivescovo impone le ceneri agli studenti universitari

Il peccato negato che è peggiore del peccato stesso, il livello di vita «che è cosa dello Spirito», ma che viene valutato solo dai comfort materiali offerti dalla modernità, la necessità «di dare un nome alle nostre idolatrie» per «accendere una luce» che possa guidare i nostri passi. È stato un percorso suggestivo – vissuto attraverso brani di Fulton John Sheen, Cyril Martinade e Luigi Maria Epicoco – quello proposto nella Basilica dei Santi Apostoli e Nazaro Maggiore ai tanti giovani universitari di Milano, riuniti per la Veglia con l’imposizione delle Ceneri loro dedicata e presieduta dall’Arcivescovo.

Titolo del momento di preghiera – concelebrato dai cappellani degli Atenei cittadini, tra cui il responsabile della Sezione Università della Pastorale giovanile e universitaria, don Marco Cianci – «I tuoi peccati pesano come cenere». Dal terzo capitolo del Vangelo di Giovanni e dalle letture prende spunto l’omelia, preceduta e seguita dall’ascolto comunitario e dalla meditazione silenziosa personale dei partecipanti.

L’omelia

«Io chi sono, che uomo, che donna sto diventando?», chiede subito l’Arcivescovo che, immaginando e dando voce ai pensieri quotidiani dei giovani, trasforma la tradizionale omelia in un dialogo con chi ha davanti. «Ho ascoltato quello che dicono di me, di noi, le considerazioni che si fanno sulla mia generazione, per cui siamo degli infelici, degli egoisti, destinati a vivere in una società complicata, litigiosa, destinati a stare soli, perché i sentimenti non durano e i legami sono liquidi… Insomma, sembra di sentire che voi giovani siete cenere».

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«Mi guardo allo specchio e vedo come sono e mi faccio schifo, ma alzo lo sguardo, vedo il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce e cerco di ascoltare la sua voce che non è non quella dello specchio o degli altri. E, allora, mi sento dire: “Tu sei amato, amata, prezioso ai miei occhi, vi ho chiamato amici e non c’è amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”». Dunque, sottolinea il Vescovo, «la vostra verità non è quella dello specchio, in cui riconoscersi scontenti e mediocri, ma è quella che dice il Figlio di Dio: voi siete amati».

Ancora prosegue il dialogo, per chi conosce i ragazzi molto reale: «Cosa fare in questo mondo? Voi vi aggiornate fino all’ultima notizia, sapete tutto in tempo reale degli indici di Borsa, delle dichiarazioni di guerra, dei trionfi sportivi, degli ultimi suicidi dei personaggi famosi, delle bombe in Ucraina, e vi dite che siete inutili e insignificanti perché vi sembra che il mondo vada avanti senza di voi, non nella direzione che sognate, opposta a quella che vi sembra giusta».

Poi le aspettative dei genitori che chiedono di essere i migliori, i primi a laurearsi e nel lavoro, andando sempre avanti, «ma verso dove?». «Verso il Figlio dell’uomo innalzato sulla croce, cercando – questo il suggerimento – di ascoltare la sua voce, non quella dei notiziari o degli adulti che spingono avanti, ma quella che dice: “Tieni accesa la tua piccola luce che può bastare per accendere infinite altre luci”. A questo Vangelo io vi invito a convertirvi, alle parole che il Figlio innalzato sa confidare a ciascuno di voi: “Tu sei amato, tu sei capace di amare”».

L’imposizione delle Ceneri e il saluto finale

Dopo l’imposizione delle Ceneri, il saluto di don Cianci che osserva. «La Quaresima è lo strumento per incrementare la nostra conversione». Tre le caratteristiche per prendere maggiore coscienza del periodo che stiamo vivendo: «La preghiera e la confessione; il magro e il digiuno; la carità fraterna. Altrimenti sarebbe tutto nominalismo, non ci sarebbe differenza e non ci sarebbe nemmeno storia, tratteremmo tutto con la medesima distrazione. Se Dio si è reso presente nella storia e l’ha salvata, cambia il nostro modo di vivere, di agire e di giudicare quanto accade».

Infine, un’ultima consegna da parte dell’Arcivescovo: «Lo sguardo fisso al Crocifisso ci autorizza ad avere stima di noi stessi perché siamo amati e a tenere fede alla nostra vocazione perché siamo capaci di amare».  

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