Articolato dialogo tra monsignor Delpini e gli studenti dell’Augustinianum, destinatari di due consegne: «Dite come promuovere il dialogo con la Chiesa» e «coltivate il sogno europeo»
di Annamaria
Braccini
Il ruolo dei cattolici nella società e la ricerca del bene. L’Europa che ha scelto il suicidio e il futuro. La spiritualità e la responsabilità di coltivare e vivere cristianamente ogni giorno. Un dialogo ricco di tanti temi e risonanze, quello svoltosi tra l’Arcivescovo e gli studenti ospiti del Collegio maschile Augustinianum della Cattolica, istituito nel 1933. Alla presenza del direttore Andrea Patanè, di don Daniel Balditarra e di don Giorgio Begni, rispettivamente assistenti ecclesiastici del collegio e del femminile Marianum, la serata viene moderata da Ernesto Preziosi, direttore per l’Ateneo dei Rapporti con le Istituzioni culturali e territoriali e curatore del saggio Ci vorrebbe un pensiero (Vita e Pensiero, postfazione del rettore Franco Anelli), che raccoglie le riflessioni di alcuni laureati in risposta alla lettera scritta dall’Arcivescovo per i 100 anni dell’Istituto Toniolo e dell’Università (qui l’intervista a Preziosi in presentazione della serata). Proprio in riferimento a questa pubblicazione nasce la serata, avviata con una domanda su come «tenere viva la spiritualità».
La spiritualità come regola di vita
«Non si tratta di sperimentare una sorta di autotraining – chiarisce subito l’Arcivescovo che fa riferimento a esempi di ispirazione cristiana quali furono Giuseppe Lazzati e i fondatori dell’Ateneo -. La spiritualità cristiana è spiritualità dell’incarnazione e non si tratta, allora, di viverla come una specie di ritiro per qualche giorno l’anno; non è un’evasione o una buona intenzione, ma una regola per cui un giovane organizza le sue attività in relazione con il Divino. Non è la vita del monaco o un’evanescenza, ma una realtà con cui modulare i tempi della giornata, sapendo chi siamo e cosa vogliamo costruire. Il punto di riferimento per il criterio di discernimento è il rapporto con il Signore».
La Chiesa e i giovani
Si passa poi a un tema cruciale, trasversalmente presente in tutto il confronto: il rapporto Chiesa-giovani nel cambiamento d’epoca attuale. «Il fatto che i giovani non avvertano più la Chiesa come una realtà a cui rivolgere domande è una ferita aperta e una sconfitta per tutti -non si nasconde monsignor Delpini -. Essere in ascolto significa stabilire una relazione, mentre oggi la Chiesa, nella mentalità diffusa, viene vista come espressione di verità assolute con cui non vale la pena confrontarsi. Ma il Papa, nella Christus vivit dice che i giovani sono gli apostoli dei giovani, quindi siete voi che potete dire come promuovere il dialogo, perché il cristianesimo non è una dottrina che si pone o impone, ma una simpatia per l’uomo, come dice san Paolo VI. La vostra capacità di relazione – che non è questione di buone maniere o di cordialità – è la vostra responsabilità. Il cristiano deve porre domande dimostrando che la fede offre la vera risposta e un’interpretazione della vita umana come promettente, annunciando la speranza perché c’è una buona notizia».
Ma come «un uso sapiente e accorto delle parole può essere oggi fonte di dialogo e favorire la ricerca della verità?», chiede un altro studente. «La parola e la verità sono nozioni di ricchezza. La verità per i cristiani non è un concetto, una filosofia, una dogmatica, è una persona: Gesù. Il pensiero che aderisce alla verità nasce nelle dimore dell’amicizia. Io vorrei che fossimo meno astratti in tema di verità: non si tratta solo di apprendere dei principi, ma di conformarsi, essere alla sequela di Cristo senza separare mai la vita dalla fede».
Da qui la consegna. «Siate cristiani nel nostro tempo, sull’esempio dei grandi che ci hanno preceduto, seguendo il Papa – basti pensare alla Fratelli tutti – che propone un’interazione critica con la cultura contemporanea parlando di economia, di finanza, del creato, della società».
La pandemia
Ci si interroga, e non potrebbe essere altrimenti, anche sulla pandemia «che ha stremato il pensiero e lo ha inaridito». Chiarissima la risposta: «La pandemia è stata una tragedia, ma anche un evento mediatico e sociale pervasivo e sorprendente. Tuttavia oltre la cronaca c’è altro. Il pensiero europeo non considera la Scrittura come un testo di riferimento e, perciò, anche quando si è nell’emergenza, il pensiero giudeo-cristiano pare riservato agli esperti, più che essere un luogo dove dibattere del senso delle cose e della verità. Ma perché questa tradizione è censurata dalla cultura europea? Io credo che sia perché la risurrezione sembra una favola e una follia il fatto che esista una salvezza nella carne, mentre è ovvio che noi siamo destinati al nulla».
L’Europa
Infine l’Europa, dove «i cattolici pare che non siano più ascoltati». È una domanda grave, sottolinea l’Arcivescovo: «A me sembra che la generazione adulta, con ruoli di responsabilità sia, in generale, stremata, non avendo più la persuasione di avere risposte. Certo, spinge avanti i giovani, ma non sa perché o quale ne sia l’obiettivo. Domina l’atteggiamento di non essere all’altezza per i sensi di colpa e di smarrimento, insinuati anche da tanti luoghi comuni. Ma i cattolici hanno qualcosa da dire e voi avete la responsabilità di coltivare il sogno europeo. Attualmente la cultura del nostro continente è orientata, sia dal punto di vita legislativo che del costume, al suicidio perché si interessa unicamente dei diritti individuali e dello stare bene qui e ora, mentre l’unico modo per avere un futuro è fare delle famiglie. L’Europa vuole suicidarsi perché non ha una buona ragione per vivere, perché la speranza non è più animata da un desiderio, perché non ha più una terra promessa. È la censura sulla trascendenza che porta alla mancanza di una speranza e al non sapere il significato della propria vita. L’Europa, che ha dichiarato Dio non necessario, eliminando la speranza si è ridotta a non far nascere più bimbi e a non avere, quindi, un domani. Questa situazione deve essere una provocazione per i giovani cattolici: abbiate un coraggio vivace non per volontarismo, ma per dire che esiste una speranza affidabile con cui si può attraversare il deserto. Non dobbiamo dare sempre colpe agli altri se, su certi temi, anche in Europa non ci siamo».
L’inquietudine
Infine, l’inquietudine, in riferimento ad Agostino e alla visione della vita come parcheggio o come pellegrinaggio. Evidente l’alternativa: «L’inquietudine può essere una malattia o una forza vitale, un malessere esistenziale senza parola o il desiderio di un compimento capace di andare oltre, come dimostra la Scrittura».
È in tale prospettiva, che si evidenzia l’importanza dell’Ateneo dei cattolici italiani per un’elaborazione culturale capace di incidere nella società, come conclude Preziosi. «L’università non è solo sapere sedimentato, ma è far sorgere domande latenti che nascono da altre domande, come stasera. L’università è costituita degli organismi statutari, ma siamo tutti noi, studenti di ieri e di oggi».