Un dialogo tra l’Arcivescovo e il rettore Elio Franzini sui temi trattati nel Discorso di Sant'Ambrogio ha concluso i Lunedì del Fopponino presso la parrocchia di San Francesco d’Assisi a Milano

di Annamaria Braccini

SERATA CONCLUSIVA DEL LUNEDÌ DEL FOPPONINO

Si conclude come meglio non poteva, con un dialogo di eccellenza tra l’Arcivescovo e il rettore dell’Università degli Studi di Milano Elio Franzini, moderati dal giornalista e psicoanalista Marco Garzonio, il ciclo dei Lunedì al Fopponino. Fortunata iniziativa parrocchiale di San Francesco d’Assisi al Fopponino, promossa cinque anni fa «per aiutarci a comprendere dove siamo e abitiamo, per creare comunità e una città viva e aperta», come spiega il parroco don Serafino Marazzini, annunciando che dal 2022 si riprenderà con il coinvolgimento delle vicine parrocchie di Santa Maria Segreta e di Gesù Buon Pastore e San Matteo.

Presenti tanti fedeli e i sacerdoti del territorio, il confronto ha per titolo «…Con gentilezza», lo stesso del Discorso alla Città, pronunciato il 6 dicembre scorso. «Un discorso – che è un poco come quello americano sullo Stato dell’Unione -, nel quale l’Arcivescovo coglie il punto della situazione per indicare piste di cammino per il futuro», introduce Garzonio, che chiede subito ai due relatori come alimentare la speranza oggi.

La speranza e le ragioni del credere

«Il credere – risponde l’Arcivescovo – non è la conseguenza di un ragionamento, ma ha a che fare con lo stupore, un insieme non di cose, ma di doni. C’è il silenzio – realtà oggi difficile da praticare – che può essere un vuoto, ma che, per il credente, è ricerca della Parola. Infine il trauma, in cui la vita è minacciata, sconvolta, la frenesia è interrotta da una malattia, da un dramma. Ma qualche volta proprio qui ci si pone delle domande. Dio ci sorprende così. Oggi la speranza è una parola fraintesa con il termine aspettativa, ma questo è un modo banale di interpretarla, mentre la vera speranza è la risposta a una promessa e tenerla viva vuole dire far crescere, appunto, la speranza».

Concorde Franzini: «Alimentare la speranza, per chi è a contatto con i più giovani, significa saper guardare, approfondendo il nostro semplice vedere. Questo implica superare l’individualismo, una delle più grandi malattie del nostro tempo, specie nei giovani che, su questo aspetto, possiamo aiutare. Goethe diceva che insegnare alle persone più giovani vuole dire far comprendere che la vita può essere commossa meraviglia e, non a caso, nel Discorso di Sant’Ambrogio si parla di un nuovo umanesimo. Papa Francesco ha detto che l’illuminismo non basta: se dimentichiamo l’emozionalità che è nella ragione, si rimane in superficie».

La famiglia nucleo centrale della vita

La seconda domanda si lega al ruolo fondamentale della famiglia nella società, così come l’Arcivescovo l’ha evidenziato nel suo pronunciamento e come ribadisce. «Il mio appello a mettere al centro la famiglia è rivolto ai responsabili della vita della città, per un’attenzione educativa. Le istituzioni devono favorire la famiglia, perché la politica non si concentri sui diritti individuali. La famiglia, come la intendiamo noi cristiani, non è un modello statisticamente maggioritario e non lo è stato nemmeno nella storia, ma mettere al centro l’individuo significa promuovere il deserto. Tuttavia, nel deserto ci sono le oasi, che custodiscono l’acqua che disseta e rinfresca: se la città vuole sopravvivere deve affacciarsi a queste oasi – o arriveranno altri -, mentre mi sembra che la nostra società preferisca la morte alla vita».

Il Rettore, in riferimento alla metropoli, riflette: «Milano è città che accoglie, ma non ha una grande attenzione ai giovani e alle loro esigenze, iniziando dalle strutture abitative per chi viene qui per studiare e, magari, rimanere. La famiglia è il senso della storia, perché crea e costruisce delle alleanze intergenerazionali che insegnano concretamente ciò che si può e si deve fare nella vita. Quello che manca in città, che ha tanti anziani, sono i nipoti».

L’intraprendenza e gli artigiani del bene comune

Con un’ulteriore domanda posta da Garzonio, si passa al concetto di resistenza. «Io non sono catastrofista – osserva l’Arcivescovo -. Credo che i valori per cui la gente resiste siano motivati dal dare gioia alle persone a cui vogliamo bene. Ci sono migliaia di cittadini che si alzano al mattino e vanno a lavorare, non per la carriera o per i soldi, ma perché si vuole bene. Un altro valore che mi commuove è l’intraprendenza di imprenditori che sanno che ci sono famiglie che mangiano perché si produce lavoro. Gente che tira avanti un’impresa non per guadagnare come primo scopo, ma perché sente la responsabilità di dare lavoro. Poi ci sono gli eroi e le eroine che vivono di quel mestiere misterioso che si chiama la compassione, aiutando chi non può camminare, vestirsi, mangiare da solo. La nostra città, nonostante la cronaca nera, sta in piedi perché ci sono gli artigiani del bene comune, i seminatori che hanno fiducia nel terreno e buttano il seme del futuro, come gli educatori e i formatori. Penso che questa città abbia delle buone ragioni per resistere, ma oggi la perseveranza nel bene ha dei nemici, come la malavita, l’usura e per questo bisogna resistere».

Franzini aggiunge: «Resistere vuol dire comprendere una dimensione di senso, predisponendo una serie di valori che non sono contingenti o fuggevoli. Essere capaci di solidarietà e compassione significa avere tali valori. I veri eroi del nostro tempo sono gli insegnanti che seminano quel percorso virtuoso che porta avanti i giovani, la società, il domani».

L’alleanza educativa tra famiglia e scuola

A prendere la parola è un parrocchiano, a lungo preside, che sottolinea la necessità di «un’alleanza tra la scuola e la famiglia, due fragilità del nostro sistema odierno».

«Il bene comune può essere solo frutto di un’alleanza tra tutti i soggetti della società – osserva l’Arcivescovo -. Tra scuole e famiglia ora c’è forse una sorta di estraneità: questo è un punto veramente critico e va affrontato, specie in riferimento alla fascia tra gli 11 e i 14 anni lasciati, talvolta, soli». Il pensiero va alla scuola cattolica «che ha la capacità di essere frutto di una visione educativa che fa alleanza con la famiglia».

Gli fa eco il Rettore: «Tra scuola e famiglia vi è una disattenzione reciproca. Recuperare lo stile dell’alleanza educativa nella scuola è un compito sociale, ma, a tale fine, occorre formare gli insegnanti restituendo un ruolo sociale alla professione, perché da decenni siamo privi di un sistema formativo rivolto ai docenti».

Una mamma di tre figli chiede come proporre la gentilezza nei rapporti familiari. Il Vescovo: «Indicando che l’umanesimo gentile e più attraente del mondo virtuale. Compito della famiglia è dire che vale la pena diventare adulti e che c’è un’esperienza buona del vivere in modo gentile che convince più della minaccia».

Infine, da un membro del Comitato del Fopponino, arriva l’interrogativo su come rapportarsi ai social network. Lapidaria la risposta: «Considerandoli uno strumento e non un ambiente di vita».   

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