Per il canto del Te Deum, nell’ultimo giorno dell’anno, l’Arcivescovo ha presieduto la celebrazione eucaristica nella chiesa di San Fedele e, in pomeriggio, si è recato al Pio Albergo Trivulzio dove ha visitato e benedetto il nuovo Centro vaccinale
di Annamaria
Braccini
Che cosa dire ai popoli del mondo testardi, intrattabili, inclini al lamento, oggi sconvolti come Israele ai tempi di Mosè? E come chiedere a Dio una consolazione, cosa domandare?
L’Arcivescovo richiama l’esperienza amara, appunto, di Mosè nel cammino dopo la liberazione dalla schiavitù in terra d’Egitto, per parlare di questo nostro tempo doloroso, ma, forse, troppo incline al lamento.
È il Te Deum che, tradizionalmente, nella sera dell’ultimo giorno dell’anno, l’Arcivescovo di Milano presiede, per la città, nella chiesa di Santa Maria alla Scala in San Fedele. Presenti i fedeli – con le dovute attenzioni di prevenzione – e le autorità, tra cui, con la fascia del Primo cittadino, Beppe Sala, la vicesindaco Anna Scavuzzo, il Rito è concelebrato dai Padri gesuiti, affidatari della parrocchia, tra cui il parroco, padre Maurizio Teani che porge il saluto di benvenuto. Così, tra passato, solo apparentemente lontanissimo, e presente, la riflessione del vescovo Mario è un viaggio ideale attraverso i millenni con lo sguardo, ovviamente, rivolto all’anno che arriva. Scandisce, infatti, nell’omelia.
L’omelia
«Forse anche noi, in questo volgere dell’anno, non sappiamo cosa dire in questa terra così provata da contestazioni contrapposte e valutazioni accanite», ma se vogliamo comprendere e condividere il punto di vista del Signore sul suo popolo e sull’umanità, «Dio dice: “voi benedirete”. Non il rimprovero, non il lamento, non l’indifferenza, ma la benedizione. Se volete rileggere l’anno che è passato, se volete volgere lo sguardo all’anno che verrà, dovete dire: “questo tempo è benedetto da Dio”».
Così, a livello sociale e personale, suggerisce monsignor Delpini. «Se tu vuoi comprendere la verità della tua vita, non fermarti all’impressione, non accontentarti dei bilanci, non fare l’elenco delle soddisfazioni o delle frustrazioni, delle grazie o delle disgrazie. In ogni caso, una cosa dice la verità profonda, la sintesi della tua vita è che è benedetta da Dio».
Una benedizione che non è una «specie di assicurazione che protegge da tutti i pericoli e non è uno scudo protettivo che garantisce da ogni male, che mette al sicuro da ogni minaccia o da ogni contagio, malattia o fallimento. Piuttosto è la promessa che, in nessuna situazione e tribolazione, siamo abbandonati da Dio, l’alleato fedele. La benedizione è una dichiarazione di alleanza».
E, allora, è proprio qui la risposta a tanta, pure giustificata e umana tristezza. «Il mondo è triste perché non conosce il volto di Dio che benedice e, perciò, si allontana da Lui per cercare altre sicurezze, altre consolazioni o per consegnarsi rassegnato alla disperazione. Noi, con la nostra fragile fede, abbiamo una missione come quella di Mosè, di Aronne, degli apostoli: “Percorrete la terra e benedite”».
Evidente e impegnativa la consegna per tutti. «Direte ai fratelli e alle sorelle che incontrerete in ogni giorno dell’anno che viene: “Siete benedetti, accogliete la benedizione di Dio che vi dichiara alleati del bene”. Perciò siate fiduciosi, sempre, non lasciatevi scoraggiare dalle difficoltà che incontrate, dalle contrarietà, dalle persecuzioni, dai fallimenti, dalle malattie. Dio continua a benedirvi, a essere vostro alleato perché ancora, in qualunque situazione, si metta mano all’impresa del bene. Perciò, siate audaci: non accontentatevi di sopravvivere senza fastidi, non immaginate un angolo tranquillo, un appartamento blindato per sentirvi al sicuro. Costruite la pace. Siate lieti: in ogni situazione, in ogni momento della vita la certezza della comunione e dell’alleanza con Dio sconfigga ogni tristezza, alimenti la gioia, imparate l’arte di gioire e di dare gioia. Non vendete consolazione buon mercato o frutto della fantasia, ma professate la vostra fede, la vita, la terra. Abbiamo l’autorizzazione a essere fiduciosi, audaci, lieti».
E questo, in un anno alle porte – come sottolinea, in conclusione l’Arcivescovo, ringraziando tutti della loro presenza – «per un impegno a costruire una città in cui sia desiderabile abitare».
Il Te Deum al Pio Albergo Trivulzio
Non poteva esservi un inizio più significativo, in questo ultimo giorno del 2021, per la visita e il canto del Te Deum, presieduti come tradizione da molti anni, presso l’“Azienda di Servizi alla Persona Istituti Martinitt e Stelline e Pio Albergo Trivulzio”.
Infatti, accompagnato dal cappellano don Carlo Stucchi, accolto dal presidente, Giuseppe Calicchio, e dai membri del Consiglio di indirizzo, il vescovo Mario entra anzitutto nel nuovissimo Centro vaccinale, simbolo di uno degli ospedali, a sua volta, simbolo nell’intero Paese del dramma della pandemia e della capacità di ripartire con professionalità e coraggio. Come testimonia, appunto, il Centro (uno dei due del Trivulzio), inaugurato il 9 dicembre scorso, dove per l’occasione trovano posto alcuni dipendenti dell’Ente, ma nel quale ogni giorno sono più di 700 le dosi somministrate (con punte di oltre 1200) nelle 70 postazioni attrezzate. Non mancano le Istituzioni, con la presenza, in rappresentanza del sindaco, dell’assessore alla Sicurezza del Comune di Milano, Marco Granelli e, per Regione Lombardia, dell’assessore allo Sviluppo Città metropolitana, Giovani e Comunicazione, Stefano Bolognini.
Il saluto nel Centro vaccinale
«Prima di tutto voglio dire la gratitudine per la vostra generosità, anche oltre l’orario di lavoro, la professionalità e la sensibilità che dimostrate verso la città e un territorio ora in sofferenza per il moltiplicarsi dei contagi», osserva l’Arcivescovo che aggiunge. «Mi faccio voce della comunità e auguro che siano giorni sereni in cui, facendo del bene, diventiamo più buoni, non solo per una prestazione professionale».
Arriva anche un suggerimento rivolto direttamente ai presenti e a tutto il personale dell’Istituto. «Abbiate cura di voi stessi, della vostra salute, delle relazioni familiari e importanti. Come prete vi porto la benedizione, che non significa stipulare una sorta di assicurazione che fa superare i problemi, ma è che ci aiuta a vivere anche le cose più difficili con fiducia, avendo Dio come nostro alleato».
La riflessione
«Mi sembra che si sia diffusa quasi una vergogna di appartenere a questa umanità, una sensazione di pena per le condizioni di vita delle persone fragili, malate, abbandonate, tanto che, talvolta, ci si chiede se valga la pena vivere così».
«I fatti di cronaca spingono a dire siamo peggio degli animali e, anche nel nostro tempo, non mancano fantasie come il voler diventare angeli o eroi di mondi fantastici creati da tanti strumenti della comunicazione».
Al contrario di un atteggiamento di disprezzo dell’umanità, «noi contempliamo la rivelazione di come Dio consideri l’umanità». Infatti, «per Dio la condizione umana è preziosa e adatta a ospitare la presenza divina. Per questo, la vicenda di Gesù insegna a tutti noi la via per portare a compimento la nostra vocazione».
«Molti fanno l’elenco dei disastri, dalla pandemia di questo anno che è passato, ma noi siamo qui a lodare Dio perché ci sono persone che umilmente servono, che pensano al bene comune, che cercano rapporti di comunione in cui trovare gioia. Certamente, abbiamo problemi, disastri, ferite su cui riflettere, ma guai a noi se vedessimo solo questo. Io sono qui a ringraziarvi per la testimonianza di un’umanità degna – non perché è bella, sana, giovane -, ma perché condivide, a qualsiasi livello e responsabilità, i sentimenti di Gesù. Non sappiamo come sarà l’anno che viene, ma sappiamo che varrà la pena di essere vissuto».