In Duomo, presenti molti fedeli dell’Opus Dei, l’Arcivescovo ha presieduto la Messa in memoria del fondatore della Prelatura, san Josemaría Escrivá de Balaguer, concelebrata dal prelato per l’Italia, don Normann Insam
di Annamaria
BRACCINI
Il manifestarsi del Signore – la teofania – laddove meno ci si aspetta, nella vita di tutti i giorni, nella professione, quando si è, magari, un commercialista, un’insegnante inflessibile o un ragazzo “secchione” che aspira a grandi vette sociali e accademiche. È la vita, ma sarebbe meglio dire, è vita vera se solo si accetta l’incontro che cambia per sempre l’esistenza: quello con il Signore.
In Duomo, l’Arcivescovo, che presiede la celebrazione eucaristica nella memoria di san Josemaría Escrivá de Balaguer fondatore della Prelatura apostolica dell’Opus Dei, indica questo ai molti fedeli presenti. Il prelato vicario per l’Italia, don Normann Insam – che porta il saluto del prelato generale monsignor Fernando Ocáriz -, in apertura della Messa concelebrata da monsignor Paolo Martinelli, vicario episcopale per la Vita Consacrata e da diversi altri presbiteri, sottolinea la vocazione degli aderenti alla Prelatura. «Ci sentiamo responsabili per testimoniare la luce del Vangelo nella vita di tutti i giorni, anzitutto in famiglia e nel luogo di lavoro, ci sentiamo scelti non perché migliori di altri ma, per dirla con san Josemaría, perché, attraverso le nostre miserie, Cristo si manifesta nello sforzo di fare della nostra esistenza un costante servizio. Ci sentiamo chiamati personalmente e tutti insieme perché questo è un tempo in cui è quanto mai necessario vivere la comunione e la collaborazione tra tutte le realtà ecclesiali, come ci ha ricordato di recente il nostro Prelato. Desideriamo fare proprio il suo invito a riflettere sul dramma dell’emergenza spirituale causata dalla pandemia», conclude don Insam rivolgendosi direttamente all’arcivescovo che avvia la sua omelia appunto dal concetto di “teofania”, «cioè la manifestazione della prossimità di Dio che incute timore, apre orizzonti inaspettati, provoca a conversione, cambia la vita».
«Il racconto evangelico racconta la teofania dei pescatori con la pesca insperata. Simon Pietro intimorito riconosce la presenza di Dio e questo gli cambia la vita. “Non temere” è la parola divina che attesta l’evento della teofania e ne spiega il senso».
Da qui l’esemplificazione di tale esperienza sempre possibile anche nella vita di oggi. A partire dal commercialista esasperato da scadenze, normative e procedure e, naturalmente, dagli onnipresenti soldi che, incontrando la cliente donna Carla e condividendone qualche confidenza, vive la sua personalissima teofania perché gli viene rivelato che proprio lì, nel suo studio, «venivano persone, non solo carte e procedure, si raccontavano storie e non solo scadenze, si può intravedere che i soldi non sono solo soldi, ma responsabilità, addirittura possibilità di bene».
E così anche la professoressa rigida e severa che viene messa alla prova da Richard, «lo studente dall’italiano improbabile», che fa fatica a comprendere perché, banalmente, la docente parla troppo in fretta. «A quanto pare, la prof. aggiunse un’ora all’orario per portare Richard alla pari degli altri, nella sezione migliore della scuola. Fare scuola era il modo di rendere gloria a Dio».
E, infine, la teofania del “secchione” che studia per la carriera e che, «se gli propongono qualche servizio di volontariato, si presta solo se ne ricava visibilità». Ma, poi, anche per lui arriva il giorno dell’incontro con il professore famoso e saggio che «parla di un’altra economia, di un’altra politica, di un’altra civiltà» e «si apre, così, un mondo insospettato, una possibilità scientifica di contribuire a un mondo diverso e promettente». Quello, appunto della teofania del Signore che dice: «Non temere, prendi il largo: proprio lì dove ti ha condotto la tua ambizione, può avvenire l’incontro che ti insegna un’altra navigazione».
«Mentre veneriamo san Josemaría Escrivá, chiediamo che, per sua intercessione, ci venga incontro una parola, un segno che Dio ci chiama dove viviamo, fatichiamo, progettiamo».
Insomma, quella fede da vivere nel quotidiano, come è nel carisma degli aderenti alla Prelatura, su cui torna il vescovo Mario al termine della celebrazione. «Desidero ringraziare voi qui presenti e tutti coloro che, in città, vivono la spiritualità dell’Opera, per la testimonianza di fede, per l’impegno che ponete nella santificazione della vita nella famiglia, nel lavoro, nell’abitare le responsabilità. Per questo desidero invocare la benedizione del Signore, perché la nostra vita benedetta da Dio diventi benedizione per coloro che ci incontrano».