Un incontro a Buccinasco tra l’Arcivescovo, il Prefetto, il Procuratore della Dia e il clero locale come «laboratorio» per sviluppare un’attenzione pastorale al problema. Luciano Gualzetti: «Occorre proporre un modello sociale alternativo a quello delle mafie. Ed essere vicini alle possibili vittime di usura prima che sia troppo tardi»
di Francesco
CHIAVARINI
Mercoledì 14 aprile i preti, i consacrati e le consacrate del Decanato di Cesano Boscone hanno incontrato l’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, il prefetto Renato Saccone, la responsabile della Direzione distrettuale Antimafia di Milano Alessandra Dolci e il sociologo Nando Dalla Chiesa nel salone dell’oratorio Romano Banco a Buccinasco. Il titolo della riunione, a porte chiuse, era «Presenze e minacce della malavita organizzata nel territorio». A organizzare l’evento è stato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana e presidente della Fondazione antiusura San Bernardino.
Gualzetti, che natura aveva questo appuntamento?
Si è trattato, come lo ha definito nella sua introduzione l’Arcivescovo, di un laboratorio. Il suo scopo era quello di aiutare la Chiesa locale a sviluppare un’attenzione pastorale che consideri anche la presenza pervasiva della criminalità organizzata.
La scelta della località non pare proprio casuale…
Infatti non lo è. Le inchieste della magistratura hanno dimostrato quanto è radicata in quel territorio la ’ndrangheta. Tuttavia le infiltrazioni malavitose sono un problema più vasto, che riguarda purtroppo anche molti altri luoghi della nostra diocesi. Per questo si pensa di programmare anche altri incontri in posti con caratteristiche simili-
Come è nata questa iniziativa?
L’Arcivescovo, insieme al Prefetto e al Procuratore, l’hanno pensata come l’inizio di un’alleanza che possa creare una comunità coesa alternativa a quella della criminalità organizzata. Un’esigenza tanto maggiore in questo momento di crisi, in cui l’indebitamento delle famiglie e delle imprese espone i nostri territori a un pericolo maggiore di infiltrazioni malavitose. Da queste riflessioni è quindi nata l’idea di far crescere la consapevolezza del fenomeno e la conoscenza degli strumenti di prevenzione e contrasto.
Nonostante negli ultimi tempi numerose inchieste proprio in Lombardia lo abbiano clamorosamente smentito, è ancora opinione diffusa che la malavita rimanga un fenomeno prevalentemente meridionale…
A Milano è ormai stata appurata la presenza di 25 locali della ’ndrangheta. I beni confiscati sono maggiori che in Calabria. Chiedersi ancora se nel nostro territorio ci sia la mafia è un paradosso. Proprio la sottovalutazione, diffusa in modo particolare nel mondo delle imprese, rischia di favorire la diffusione del fenomeno.
Da che cosa dipende questa mancanza di consapevolezza diffusa?
Secondo la Dolci, dalla capacità di mimetizzarsi della ’ndrangheta. Specie al Nord la criminalità organizzata, se non in casi eccezionali, evita di commettere omicidi e intimidazioni. Si presenta in giacca e cravatta, mostra la faccia buona. Dall’altra parte ci sono molti imprenditori locali che non si chiedono come mai le imprese delle criminalità siano in grado di offrire i prezzi migliori. Sono convinti che sia conveniente fare affari con loro. Salvo poi scoprire, quando sono ormai entrati nel circuito criminale, che il prezzo da pagare per uscire è salatissimo.
Questo periodo di crisi può esporre maggiormente il tessuto economico al rischio di infiltrazioni malavitose?
Tutti gli esperti concordano nel ritenere che questa è una minaccia molto seria. Le imprese a corto di liquidità possono essere tentate dal denaro facile offerto da chi ne ha molto e cerca solo un modo per ripulirlo. Così all’imprenditore in difficoltà, che magari non riceve più credito dalle banche, viene fatto un prestito. I tassi di interesse sono quelli decisi dall’usuraio. E in breve la somma non può essere più restituita. Sotto minaccia, al titolare dell’impresa non resta che cedere l’attività, magari mettendosi al servizio dei criminali. In virtù di questo meccanismo il tessuto economico e civile viene inquinato.
Che cosa può fare la Chiesa per contrastare questo fenomeno?
Molte cose. Sul piano culturale, può offrire una visione antropologica alternativa basata sulla sobrietà, la legalità e la solidarietà. Sul fronte della denuncia deve dire con chiarezza e senza reticenze da che parte sta. Ancora, la Chiesa può riempire il vuoto che le organizzazioni criminali scavano attorno alle vittime, persino attorno delle istituzioni e associazioni. Infine può svolgere un’efficace azione di prevenzione. In diocesi è attiva la Fondazione San Bernardino, voluta dal cardinale Tettamanzi proprio allo scopo di contrastare l’usura, dietro la quale spesso si nasconde la malavita. Ma la Fondazione può operare se arriva per tempo alle famiglie schiacciate dai debiti. Proprio i preti ambrosiani, così radicati nel territorio, possono aiutarla a svolgere questa funzione, dando a chi è in difficoltà il consiglio giusto prima che sia troppo tardi.