Questo il richiamo contenuto nella lettera inviata dall’Arcivescovo ai direttori dei quotidiani per San Francesco di Sales: un antidoto a superficialità, partigianeria e tentazioni di vario tipo
di Monica
FORNI
Presidente Ucsi Lombardia
Fin da quando venne istituito dal cardinale Martini molti anni fa, l’appuntamento dei giornalisti con l’Arcivescovo di Milano in occasione della memoria di San Francesco di Sales è un’occasione di riflessione sul nostro complesso e affascinante mestiere.
A maggior ragione lo è per i giornalisti cattolici, per quei credenti che cercano di portare nella professione giornalistica la loro fede non come proselitismo, ma come un modo diverso di guardare alla realtà redenta dalla presenza di Cristo nella storia, la storia di ognuno di noi e la storia del mondo nel suo complesso.
A me sembra che tre siano i rischi maggiori che il giornalismo, almeno quello italiano, corre oggi: il primo è quello della mancanza di studio e di attenzione specifica alle questioni di cui si parla, spesso giustificata dalla necessità di procedere in fretta, di rimanere dietro alla notizia, sacrificando così l’accuratezza dell’informazione e privando il lettore (o l’ascoltatore) di uno sguardo in profondità sulle grandi e piccole vicende del nostro tempo.
Il secondo deriva dalla partigianeria, cioè dalla mancata separazione dei fatti dall’opinione di chi li comunica, con un evidente, anche se magari involontario, effetto distorsivo, che oltretutto ha creato la categoria delle fakenews”, quelle affermazioni con una base di realtà più o meno labile che spingono molte persone a vivere in una “bolla”, in cui la verità effettiva non sembra avere cittadinanza, come hanno dimostrato le recenti vicende statunitensi.
Il terzo è legato alle molte tentazioni che derivano dal miraggio di benefici economici diretti o indiretti, o dalla crescita del proprio status personale o professionale, sacrificando deontologia ed etica nell’esercizio quotidiano del mestiere.
Mi pare che l’Arcivescovo – che quest’anno per motivi di sicurezza ha rinviato, si spera in primavera, il tradizionale incontro con i giornalisti, e ha inviato comunque una lettera ai direttori dei quotidiani per la festa del patrono – colga nel segno quando ricorda la necessità di uno sforzo comune, e sottolinea il ruolo della comunicazione come “mediazione necessaria” fra la notizia e la vita delle persone, una mediazione che implica un severo senso di responsabilità da cui sono ovviamente escluse la superficialità, la partigianeria e la tentazione della venalità di cui si accennava prima.
Ecco dunque che tutti noi comunicatori professionali – e i credenti in primo luogo- siamo chiamati a un di più di responsabilità, proprio perché sappiamo quanto il contenuto delle notizie sia vincolato al contenitore, ossia al modo in cui vengono riportate, soprattutto in una fase difficile come questa, in cui la necessità di dire la verità sulla situazione pandemica non può cedere alla tentazione del catastrofismo a buon mercato in cui molti indulgono.
La parola d’ordine per tutti – ci ricorda l’Arcivescovo- è responsabilità, intesa come prendersi cura gli uni degli altri in una fase difficilissima ed inaspettata che richiede uno sforzo in più a tutti noi, e a maggior ragione a chi lavora in un settore delicato come quello giornalistico.