«Non possiamo riprendere tutto come se niente fosse», sottolinea il presidente della Casa della Carità, che in un e-book ha raccolto le sue meditazioni quotidiane durante il lockdown. Un invito a rivedere il nostro stile di vita, dal rapporto con gli ultimi al senso di comunità, allo sguardo al mondo
di Claudio
URBANO
Il filosofo tedesco Hegel scriveva che la nottola di Minerva si alza in volo solo sul far della sera, per spiegare che la lettura razionale degli eventi arriva sempre quando questi si stanno concludendo. Eppure, anche ora che la pandemia miete meno vittime, le risposte su quanto è avvenuto sono inevitabilmente parziali. Per questo, mentre siamo ormai in piena Fase 2, può essere prezioso tornare a raccogliere i pensieri su quanto abbiamo vissuto nelle scorse settimane, scavando in profondità su quello che a molti è sembrato un tempo sospeso.
Ce ne offre l’occasione don Virginio Colmegna, che in un e-book disponibile gratuitamente online (www.casadellacarita.org/ebook-cinquanta-gradini) ha raccolto le sue meditazioni quotidiane nei quasi due mesi di lockdown trascorsi alla Casa della carità. In Oltre cinquanta gradini – tanti quanti sono stati i giorni dell’isolamento – don Virginio ci fa partecipi delle sue riflessioni, dalla paura dei primi giorni alla convinzione che quanto abbiamo vissuto sia l’occasione per rinnovare i nostri stili di vita, ripartendo con quello slancio che viene dalla freschezza del Vangelo.
Non una cronaca, quindi, ma una rilettura delle giornate in cui gli spunti dati dal tempo liturgico si intrecciano con le sollecitazioni del mondo esterno. Dalle preoccupazioni per gli ospiti e gli operatori della Casa della casa fino alle angosce per le tante persone lontane e di cui, al momento, non si può conoscere la sorte, perché sono in un ospedale psichiatrico o in una Rsa, e al dolore per gli amici che il Covid si è portato via.
«Non sono giorni in cui la fede è stata messa tra parentesi, né in cui si è fermata la pastorale – avverte don Colmegna -. Sono stati piuttosto giorni di grande interiorità, di inquietudine positiva, di ricerca di senso. Un richiamo all’interiorità». Una ricerca che – sottolinea – «non deve essere dimenticata adesso, riprendendo tutto come se niente fosse anche per quanto riguarda la fede».
Con uno sguardo che va oltre il contingente, nel suo diario don Virginio si lascia accompagnare dalle parole di Etty Hillesum per chiedersi «dov’è Dio» nelle situazioni di dolore, e raccoglie il suo invito: «Se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio». Torna quindi a riproporre con forza l’importanza dello stare accanto, del mettere al centro l’amicizia coi poveri da cui nasce un «itinerario di speranza», per riscoprire – sono le riflessioni del Giovedì Santo – non solo l’importanza di lavare i piedi, ma di lasciare che Gesù li lavi a noi.
Proprio da questa amicizia coi poveri, dalla conoscenza di molte famiglie con figli portatori di disabilità e di sofferenza psichica, sentite spesso al telefono durante questi giorni di isolamento, è nato il progetto dell’associazione Son – Speranza Oltre Noi, che punta a realizzare spazi di autonomia abitativa per questi ragazzi, più o meno giovani, nello spirito della legge del «Dopo di noi»; una casa che sarà anche un luogo aperto al territorio, di vita e di animazione culturale. Una «follia della carità» la definisce don Colmegna, il cui cantiere, a Crescenzago, è però già stato avviato nei mesi scorsi e può essere sostenuto con una donazione (i riferimenti sono sul sito della Casa della Carità) anche scaricando questo e-book.
C’è poi lo sguardo che si allarga verso il mondo. Se la pandemia ci ha costretti a guardare tutto con occhio diverso, ci deve essere dunque un cambiamento profondo degli stili di vita, come hanno ricordato i gesti e le parole di papa Francesco nei giorni dell’epidemia. Una scossa – sollecita don Colmegna – che deve toccare anche la Chiesa nella sua testimonianza del Vangelo. Una «santità della porta accanto», spiega don Virginio riprendendo ancora le parole del Papa. Un cambiamento dunque che passa ancora una volta dalle relazioni: «Prima la comunità» deve essere il «lascito della pandemia», teorizza don Colmegna. Nella convinzione che l’attenzione alla qualità dei rapporti umani – a partire dagli aspetti pratici come la riorganizzazione degli spazi – farà sì che, se tutto sarà diverso, non sarà però «peggio», ma forse meglio di prima.