Nella Solennità di Pentecoste, Festa delle genti, l’Arcivescovo ha presieduto la Messa con le Comunità dei Migranti. «Questa città, svegliandosi dal trauma, sia una cittadella di fraternità e speranza, di sollecitudine per tutti coloro che sono più poveri, bisognosi e soli»

di Annamaria Braccini

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La benedizione solenne di Pentecoste, impartita dall’Arcivescovo presso l’immagine della Madre della Consolazione nella basilica di Santo Stefano Maggiore, che sospinta dallo Spirito, varca gli oceani, attraversa Paesi, Continenti, terre lontane. Tutte quelle dalle quali i “nuovi” milanesi e ambrosiani provengono. La benedizione di Dio che il vescovo Mario chiede – al poco più di centinaio di migranti che, con i loro Ministri del culto, partecipano alla Messa per la Festa delle genti – di «portare a tutte le persone che rappresentate: famiglie, comunità, amici, a chi è nella prova. Portate ai vostri Paesi di origine l’affetto di questa Chiesa di Milano, il suo desiderio di essere accogliente, solidale, di essere una comunità unita in cui è desiderabile abitare».
Si conclude così, in “Santo Stefano”, parrocchia personale dei Migranti, la tradizionale Celebrazione di Pentecoste, quest’anno – come è ovvio – diversa, meno “colorata” di suoni e di danze, di cori e di abiti etnici, ma vissuta con una partecipazione e un sentimento di fraternità che si tocca con mano. Messa – concelebrata dal vicario episcopale di settore, don Mario Antonelli e da 15 cappellani di altrettante realtà di lingua straniera presenti sul territorio diocesano – che si apre con il breve indirizzo di saluto di don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti, che nota come, a un solo mese dalla sua nomina a Pastore di Milano, il vescovo Mario volle annunciare il Sinodo minore “Chiesa dalle Genti”, entrato ora nella sua fase cruciale di ricaduta sul territorio.
«La ringraziamo per essere ancora una volta tra noi. Riprendiamo – sì -, ma non per tornare a fare le cose di prima o come le facevamo prima. Questi mesi ci hanno segnato profondamente, ma fatto crescere, anche se a caro prezzo».
Il ricordo commosso va a don Giancarlo Quadri che, per 18 anni – dal 1996 al 2014 -, aveva guidato la Pastorale dei Migranti, sviluppando proprio la Festa delle genti, e a don Franco Carnevali, che si stava prendendo cura della Comunità latino-americana di Monza. Entrambi scomparsi nello stesso giorno, il 22 marzo scorso, per la pandemia.
«Abbiamo perso due amici, ma sentiamo di avere due patroni in cielo», prosegue don Vitali. «Abbiamo bisogno della sua presenza, che è motivo di riconoscenza e di incoraggiamento, presenza tra noi di chi sa consolare cuori, presenza che conferma nella fede e incoraggia a riprendere il cammino».
Parole iniziali a cui fanno eco quelle dello stesso Arcivescovo, che rivolto a chi gli sta di fronte nella navata centrale di Santo Stefano, secondo i parametri del distanziamento, con mascherine e guanti, dice. «Dove siete amici, fratelli e sorelle? Voi che siete qui rappresentate comunità, famiglie, amici. Viviamo questa Celebrazione con la gioia che è nel dono dello Spirito. Io, anche attraverso i media – la Messa è trasmessa in diretta Fb, rivedibile su Santo Stefano Migranti -, vorrei entrare nelle case e nei cuori di tutti. Anche se le panche fossero piene, come spero che sia possibile fare in futuro, non saremo mai tutti: sentiamo di essere dentro la grande comunione della Chiesa e sentiamo don Giancarlo e don Franco nella comunione dei Santi».
Dopo le Letture, proclamate in diverse lingue (così come la preghiera dei fedeli) e i canti affidati a un piccolo gruppo di coristi, per la maggioranza Filippini e Sudamericani, si avvia la riflessione dell’Arcivescovo.
L’omelia
«In piazza del Duomo hanno piantato alberi di banane che, nelle terre tropicali, sono generosi e producono un frutto abbondante, buono, nutriente Ma gli alberi di piazza Duomo sono solo una macchia di verde, producono, qualche volta, frutti stentati e immangiabili. Qualche decennio fa, qualcuno ha portato dalla Nuova Zelanda gli alberi del kiwi e, oggi, l’Italia ha il primato mondiale della loro produzione. Ci sono alberi che, anche se vengono come stranieri, si inseriscono così bene in un’altra terra da dimostrare di essere protagonisti di una storia nuova».
Chiara l’immagine che guarda – per così dire – al di là degli alberi per arrivare agli uomini, ai popoli e alla Chiesa. «Come saranno le nostre comunità, come saremo noi? Saremo come alberi che, nella propria terra, erano cristiani contenti e generosi di frutti per tutti e che poi, altrove, diventano piante stentate e improduttive, oppure come alberi che, trasferiti da un Paese a un altro, moltiplicano i loro frutti?»
Come a dire «Cosa può fare la differenza tra questi due esiti?». Altrettanto immediata la risposta.
«Siamo qui a celebrare la Festa delle genti nel giorno di Pentecoste perché noi siamo certi che è lo Spirito di Dio che può trasformare una situazione in occasione, se incontra la nostra disponibilità. La situazione può essere frutto di tante coincidenze e drammi, di fatiche, di una povertà che chiede futuro; dipende da fattori che spesso vanno oltre le nostre scelte e libertà, ma lo Spirito di Dio, se viene accolto, può produrre frutti di bene anche in una situazione dolorosa e complicata».
Il riferimento è alla Prima Lettera di San Paolo ai Corinzi, appena proclamata in spagnolo, con la confusione di quella comunità, superabile, come scrive l’Apostolo, mettendosi sotto l’azione dello Spirito.
«Anche oggi lo Spirito ci chiama, dunque, a vivere questo tempo come occasione per edificare la comunione. Molti provvedimenti e cautele sembra che incoraggino a tenere le distanze e a separarci, ma lo Spirito di Dio, anche in questa situazione, ci rende pietre vive per edificare la comunione sotto il dono dello Spirito. Questo e ciò che celebriamo, la Pentecoste: è il giorno in cui possiamo accogliere il dono dello Spirito e trasformare il nostro abitare in questa terra in una missione».
Anche se tutto questo, specie in tempi di morti, dolori, tragedie personali e pubbliche, può sembrare ancor più difficile. «Da molti ho sentito la domanda su dove sia Dio e perché ci ha abbandonati», nota infatti, il vescovo Mario che, subito, aggiunge. «Noi siamo qui oggi per riceve lo Spirito di verità: non siamo abbandonati, ma resi partecipi della vita di Dio. Ecco come, da qualsiasi Paese veniamo, possiamo essere quegli alberi rigogliosi che portano molti frutti, molti doni per edificare comunione. Oggi è la Festa delle genti, perché è una festa trovarsi insieme e decidere di metterci sotto l’azione dello Spirito».
Infine, appunto, la benedizione presso la Cappella laterale della basilica, dedicata alla Madre della Consolazione arricchita dalla bella pala cinquecentesca che rappresenta Maria – non a caso circondata dai santi Rocco e Sebastiano, patroni contro le epidemie – con che fu portata in Basilica da San Carlo, dopo la peste. Un omaggio, a conclusione del mese mariano, anche se, fin da marzo, proprio davanti a questa immagine, è stato recitato il Rosario per le Comunità dei Migranti, quotidianamente in spagnolo e trasmesso in streaming.
«Invoco la benedizione del Signore per tutta la Chiesa di questa terra, che sia Chiesa dalle genti; su questa città, perché, svegliandosi dal trauma che sta subendo, sia un luogo di fraternità, una cittadella della speranza, un esempio di sollecitudine per tutti coloro che sono più poveri, bisognosi e soli. Lo Spirito santo ci renda un cuor solo e un’anima sola, noi tutti benedetti da Dio». In conclusione a ognuno dei presenti viene donata la lettera per il Tempo di Pentecoste nella Proposta pastorale «La situazione è occasione».

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