Il Superiore degli Oblati ricorda quando il Vescovo emerito di Novara fu accolto nella comunità di Rho e il congedo terreno: «Gli ho tenuto la mano mentre spirava, un dono bello, il compimento di una grande figliolanza. Si è donato totalmente fino all’ultimo»
di Annamaria
BRACCINI
«Il mio ricordo risale a quel 2012, quando il Vescovo venne a bussare alla mia porta. Già allora ero Superiore della comunità degli Oblati Missionari di Rho, e mi disse che, terminando il suo servizio episcopale in Diocesi di Novara per limiti di età, intendeva chiedere di entrare nella comunità degli Oblati, in quanto gli pareva che fosse il luogo più bello per vivere l’ultimo tratto della sua esistenza, dedicandosi alla preghiera e al ministero della Parola»: padre Patrizio Garascia dice così, facendo memoria di quella proposta inattesa, che portò la comunità ad accogliere con emozione a Rho il Cardinale oggi scomparso.
La richiesta venne esaudita?
Certamente. Accogliere il vescovo Renato in casa nostra era accogliere uno dei più grandi padri ed educatori che anch’io, come tanti altri preti, abbiamo avuto nella nostra vita. Da lì è iniziato il nostro cammino. Stamattina, poco prima delle 9, sono stato chiamato nella sua stanza e ho potuto tenergli la mano mentre spirava: questo per me è stato il dono bello, il compimento di una grande figliolanza, di una grande stima, di un grande affetto verso quest’uomo che a me, a noi, a tutti ha dato tantissimo.
Il Cardinale è spirato serenamente?
Sì, si è spento proprio come una candela: ha respirato, poi, a un certo momento il respiro non c’è stato più, serenamente, proprio come lui è sempre stato. Non si è mai lamentato, ha sempre accolto la vita così com’è, come veniva data. Si è visto anche nel suo modo di vivere la malattia negli ultimi giorni, con la sua spiritualità, il dono totale di sé, fino all’ultimo respiro, a Dio e ai fratelli.
È stato un punto di riferimento in questi anni per la vostra comunità?
Sì, un grande punto di riferimento per noi, per molti sacerdoti e tanta gente. La sua presenza a tavola, per esempio, era sempre molto significativa. Ci teneva, dicendo spesso che il momento della tavola è di comunione per leggere la realtà ispirati dal Vangelo. Dialogando tra noi, non c’era mai nessuno spiraglio di banalità; era sempre “sul pezzo” e appassionato dentro le vicende della Chiesa, della società, con il desiderio di far arrivare a tutti l’annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, del suo amore e della sua redenzione. E questo «Cor ad cor loquitur», per usare il suo motto episcopale.
Che era anche il motto del santo cardinal Newman…
Era molto devoto di Newman, tanto che, quando è stato canonizzato, il suo desiderio era di poter andare a Roma per concelebrare con il Papa. Non siamo riusciti ad accontentarlo perché era già malato, ma lui aveva tanti amici in cielo, da Agostino appunto al cardinale Newman, e, poi, coloro le cui figure che ci ha trasmesso quando era educatore in Seminario: Charles de Foucauld, Teresina di Lisieux, Madeleine Delbrêl. Era anche un attento e profondo conoscitore di Rosmini, sempre in dialogo con questi grandi uomini e donne che la storia ci ha regalato.