Dieci anni fa moriva il sociologo della Cattolica che per sei anni fu presidente dell’Ac ambrosiana. L’ateneo lo ricorda venerdì 24 maggio, l’associazione sabato 25
«Splendida figura di laico cristiano, nella vita come nella morte. In lui continua la grande tradizione di Lazzati di servizio umile e incondizionato alla Chiesa, ma in piedi e con franchezza»: così il cardinale Carlo Maria Martini ricordava Eugenio Zucchetti, stimato studioso e docente di Sociologia delle relazioni di lavoro all’Università Cattolica di Milano e per sei anni, dal 1992 al 1998, presidente diocesano dell’Azione cattolica ambrosiana, scomparso il 25 maggio 2009.
A dieci anni dalla morte, una cerimonia in ricordo di Zucchetti si svolgerà venerdì 24 maggio, alle 11.45, presso la Cappella dell’Università Cattolica di Milano. Dopo un intervento del professor Michele Colasanto sul tema «La Buona Politica per il Lavoro e la Città», alle 12.30 seguirà la Santa Messa presieduta nella cappella del Sacro Cuore dal Vicario generale della Diocesi, monsignor Franco Agnesi.
Anche l’Azione cattolica ambrosiana ricorderà Zucchetti nel pomeriggio di sabato 25 maggio, in occasione della Festa diocesana di fine anno, in programma a Milano presso la parrocchia dei Santi Nereo e Achilleo (piazza San Gerolamo 15). La ricchissima parabola umana e il pensiero di Zucchetti saranno illustrati in una mostra di testi e immagini, che ha lo scopo di ripercorrere la fecondità e la stringente attualità delle sue riflessioni circa tutte le dimensioni fondamentali del nostro tempo: dal lavoro alla testimonianza ecclesiale, dai cambiamenti in corso nella famiglia e nella società alle sfide per l’evangelizzazione e il volto di Chiesa.
Gli scritti del professore-presidente, dal 1992 al 2005, sono attinti dal volume Leggere la società, servire la Chiesa, curato da Maria Teresa Antognazza e pubblicato da In dialogo l’anno dopo la morte di Zucchetti. Apre la raccolta un prezioso testo, «Lettera a un diciottenne», che racchiude quasi il segreto della sua vita, quando scrive: «Lo stupore e la riconoscenza per il dono – che siamo noi, che sono gli altri, che è la vita intera – ci devono condurre a dire dei sì, ad accettare delle responsabilità, cominciando da quelle più piccole. La fede diventa adulta in questo modo, fino ad arrivare a farsi carico della fede degli altri».