Alle 10.30 in Sant’Ambrogio celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo per i Giubilei di professione religiosa, da quest’anno estesi anche alla Vita consacrata maschile
di monsignor Paolo MARTINELLI e monsignor Luigi STUCCHI
Vescovi ausiliari e Vicari episcopali per la Vita consacrata
Il Concilio Vaticano II definisce la Vita consacrata come quello stato di vita cristiana «costituito dalla professione dei consigli evangelici»; come tale appartiene indiscutibilmente alla Chiesa, «alla sua vita e alla sua santità» (Lumen Gentium, 44). Si tratta di un dono peculiare e multiforme che lo Spirito Santo fa al popolo santo di Dio, «come un albero che si ramifica in modi mirabili e molteplici nel campo del Signore a partire da un germe seminato da Dio» (LG 44), affinché la Chiesa possa sempre vivere la sua missione nel mondo secondo le mutate circostanze. La vita consacrata, infatti, con la sua testimonianza ha il compito di richiamare tutti i fedeli alla bellezza della vocazione cristiana, che è vocazione alla santità, alla pienezza della vita in Cristo.
In questa prospettiva, che le persone chiamate alla sequela di Cristo casto, povero e obbediente siano perseveranti e fedeli nel tempo alla loro vocazione, è una grande testimonianza di quello che Dio può operare nella fragilità della vita umana. Per questo sabato 11 maggio, alle 10.30, nella celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo Mario Delpini nella Basilica di Sant’Ambrogio, verranno festeggiate le persone consacrate che ricordano un anniversario significativo della propria consacrazione.
Celebrare 15, 25, 40, 50, 60 o 70 anni di perseveranza nella vocazione è certamente una festa grande. È bello vedere il volto delle persone consacrate, che hanno dato la vita per il Regno di Dio, segnato dalla gioia di appartenere a Cristo, di essere “suoi”. La novità di quest’anno è che la celebrazione dei Giubilei, solitamente riservata alla vita religiosa femminile, per desiderio dell’Arcivescovo sarà estesa anche alla vita religiosa maschile.
Una celebrazione come questa è tanto importante nel nostro tempo, segnato profondamente da ciò che papa Francesco chiama la «cultura del provvisorio», che rende difficile prendere decisioni «per sempre» e dove tutto sembra essere sempre revocabile. La cosiddetta società “liquida” fa ritenere erroneamente che per essere liberi occorra non avere legami e non decidersi mai in modo irrevocabile. Certamente la fedeltà e la perseveranza sono un dono di Dio che ciascuno deve custodire e alimentare lungo tutta l’esistenza. Ma dove trova fondamento il «per sempre» che deve caratterizzare ogni autentica scelta di vita? Nell’amore! L’amore stesso, per sua natura, chiede il «per sempre». Possiamo forse immaginarci due persone che si dichiarano un amore vero, ma solo «per un po’ di tempo»? Finché dura? Mettere limiti all’amore non è già tradirlo? Dall’altra parte, il «per sempre» viene pronunciato da noi, che siamo persone limitate e ferite dal peccato: quando promettiamo il «per sempre» diciamo qualcosa che corrisponde al nostro desiderio, ma che sembra superare le nostre forze.
Per questo papa Francesco ci ricorda che il fondamento della nostra perseveranza è, in realtà, la fedeltà di Dio al suo amore; egli, infatti, non ci ha amati «provvisoriamente», ma «per sempre»! In ogni vocazione, sia nel matrimonio, sia nel sacerdozio ministeriale o nella vita consacrata, si tratta sempre di rispondere all’amore di Dio. Si è liberi davvero solo quando si è amati e si ama per sempre! La vera libertà ha la sua gioia nel legame dell’amore.
Ecco ciò che festeggiamo l’11 maggio: celebriamo la fedeltà di Dio al suo amore che rende possibile anche il nostro sì per sempre.