Moltissimi fedeli hanno seguito la croce, con l’Arcivescovo, nella prima delle 7 Viae Crucis - una per ciascuna Zona pastorale -, svoltasi nel quartiere Comasina, per la Zona I. «Siate uomini e donne di preghiera»
di Annamaria
BRACCINI
«Milano, città delle moltitudini, delle solitudini, città audace nell’andare verso il futuro, continua a pregare, impara a pregare, cerca di pregare».
È un inno a vivere ogni giorno la preghiera, come «via della sapienza», quello che l’Arcivescovo, rivolge ai moltissimi fedeli che camminano per le strade di una delle tante periferie cittadine. La Via Crucis che si svolge per la Zona I-Milano – la prima delle 7 previste in ognuna delle altrettante Zone pastorali della Diocesi -, si snoda, infatti, tra palazzoni anonimi e luoghi simbolo del quartiere Comasina nel Decanato “Affori”.
Seguendo, con il Vescovo, una semplice croce di legno portata a turno da alcuni giovani, i fedeli cantano, riflettono, ascoltano la Parola di Dio e pregano con i Salmi, nell’anno in cui l’intera Chiesa ambrosiana è invitata a rileggere il Salterio, quale scrigno di bellezza e di fede, per scoprirne il tesoro spirituale.
Si parte, quasi vegliati da san Giovanni XXIII, presso la RSA “Korian”, struttura polifunzionale e moderna in via Ippocrate, davanti all’ingresso dell’ex-Istituto Paolo Pini. Ai piedi della statua del Papa buono, il vicario episcopale di Zona, monsignor Carlo Azzimonti, dice: «In questa una città segnata da tante fatiche e sofferenze, da tante croci già però animate dalla speranza, ci uniamo con gioia e partecipazione al nostro Pastore». Accanto all’Arcivescovo ci sono i sacerdoti, tra cui il vescovo ausiliare, monsignor Paolo Martinelli, il parroco della parrocchia “San Bernardo”, nel cui territorio si articola la processione, don Aurelio Frigerio e il decano, don Giuseppe Buraglio.
4 le Stazioni, la II, VII, XII e XIV: la prima è di fronte ai cancelli di “Villa Luce”, Casa Madre delle Suore Missionarie di Gesù Redentore, «chiamate a vivere, a livello personale e di comunità, il carisma di Gesù crocefisso e risorto, nel passaggio dalla croce alla risurrezione di tante ragazze accolte».
Poi, per la settima Stazione, si prega presso il Santuario del Sacro Cuore di Gesù, nato nel 1953 per volontà del cardinale Schuster, consacrato da Giovanni Battista Montini due anni dopo e, oggi, centro di irradiazione della devozione, con la presenza delle Apostole del Sacro Cuore di Gesù, impegnate anche nella attigua scuola.
La sosta successiva è, significativamente, posta all’incrocio tra le vie Esculapio e Val di Bondo, nella parte storica del quartiere, dove sono sorte le prime case abitate dagli immigrati, per la maggioranza meridionali, a metà degli anni ‘50: «Vogliamo raccogliere le sofferenze, magari nascoste, di coloro che vivono tra queste mura».
Infine, ancora una fermata, nel curato giardino intitolato a don Gian Paolo Gastaldi, secondo parroco di “San Bernardo”, morto di SLA nel 2008. L’Arcivescovo, che per l’ultimo tratto porta la croce, nella sua omelia – pronunciata nella grande chiesa di “San Bernardo”, che non riesce a contenere tutti i fedeli per i molti si sono aggiunti anche durante la processione -, invita a riflettere e a pregare.
L’omelia
«Come si può raccontare una storia, una vita? Come si può raccontare del dramma del giusto ingiustamente condannato, dell’uomo mite vigliaccamente trattato con violenza, dell’uomo buono sul quale ha infierito la cattiveria, dell’uomo sincero screditato da false testimonianze? Si può raccontare la storia di Gesù e tante storie di crudeltà e di violenza come si racconta una cronaca, con il distacco del cronista, con la banalità, con la superficialità sbrigativa di chi cerca un titolo ad effetto; si può ascoltare il racconto, con il distacco e l’indifferenza di chi segue il notiziario».
Ma si può parlare di tutto questo – prosegue il vescovo Mario -, anche «con il grido della protesta, con la parola aspra della denuncia, con il risentimento che muove alla rivolta, con la ribellione che vuole contestare il potere e la vigliaccheria del forte che opprime il debole».
Insomma, si può entrare «in questa storia tutta sbagliata e tragica», chiedendo rabbiosamente “perché?” e, allora, chiamando, come sempre, in causa Dio.
E, poi, si può, invece, pregare. «Noi abbiamo scelto di entrare nella storia di Gesù con le parole dei Salmi e abbiamo ritenuto che il modo più penetrante e più vero, il percorso più intelligente e più necessario, fosse la via della preghiera». Quella, appunto, dei Salmi che, scritti dal popolo di Israele «per raccontare la sua storia come storia di salvezza, sono stati raccolti dalla Chiesa per interpretare la storia di Gesù e la propria storia come storia della fedeltà di Dio alle sue promesse». Così il popolo di Dio – fatto non di curiosi, di arrabbiati o di ribelli perenni -, sta davanti alla croce ed entra, fino in fondo, nel mistero della Passione del Signore.
«Nella storia tribolata dell’umanità, la preghiera è una via di sapienza ed è pedagogia della speranza che trasforma il grido di dolore, la voce della protesta, l’interrogativo inquietante, nell’affidamento alla potenza di Dio che trae dal male il bene e, dalla morte, la vita».
«La preghiera è esperienza di fraternità ed esercizio di trasfigurazione: chi prega con il Salmista, condivide con i fratelli e le sorelle il cammino verso il Monte di Dio, compie il pellegrinaggio che fa crescere lungo cammino il suo vigore».
È da questa «persuasione che vogliamo testimoniare per le vie della città», che nasce l’appello alla metropoli.
«Milano città delle moltitudini, continua a pregare, impara a pregare, cerca di pregare perché le moltitudini non siano una confusione che fa paura, ma la vocazione alla fraternità che trova nel Padre di tutti le ragioni della fraternità universale».
«Milano, città audacia nell’andare verso il futuro, continua, impara, cerca di pregare perché il futuro non sia un enigma minaccioso, ma illuminato da una speranza più affidabile delle previsioni e delle programmazioni: la speranza che risplende nel Signore risorto».
«Milano città delle solitudini, prega perché la solitudine si scopra consolata dalla tenerezza che si fa vicina e solidale e si riveli abitata dalla presenza di Dio, perché Gesù è entrato nella solitudine fino alla morte e alla morte di croce».