Don Massimo Epis, preside della Facoltà teologica dell'Italia settentrionale, approfondisce i contenuti del convegno annuale dell'ateneo, dedicato alla questione escatologica
di Annamaria
BRACCINI
È un tema impegnativo, quello scelto quest’anno dal Collegio dei docenti della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale per il convegno annuale dell’Ateneo. Infatti, con il titolo «Delle cose ultime. La grazia del presente e il compimento del tempo», martedì 19 e mercoledì 20 febbraio, presso la sede della Facoltà (via Cavalieri del Santo Sepolcro 3, Milano), una nutrita serie di relazioni affronterà la questione escatologica.
Perché questa scelta? «Il soggetto contemporaneo – risponde il preside don Massimo Epis – fa oggi esperienza di una frammentazione del tempo e di una progettazione schiacciata sul presente, rincorrendo l’ideale del just in time, che potremmo tradurre “appena in tempo” o “all’ultimo momento”. Per una libertà tendenzialmente alleggerita della sua storia muta la percezione della responsabilità. La questione del tempo pone un interrogativo radicale di senso, perché coinvolge direttamente la questione dell’identità del soggetto e la possibilità della realizzazione della sua libertà. D’altra parte, con la sensibilità che viene affermandosi sull’onda della preoccupazione ecologica, vacilla l’ideale privatistico del compimento, crescendo la consapevolezza della rilevanza pubblica delle scelte compiute dai singoli, così come della comunanza dei destini».
L’idea dell’orientamento verso il fine ultimo, come significato e direzione della vita personale e collettiva, è oggi poco compreso anche dai credenti?
In questo scenario è significativo quanto osservava Martin Heidegger nel commento giovanile ad alcuni testi paolini: «La speranza che hanno i cristiani non è semplicemente fede nell’immortalità, bensì fiduciosa resistenza fondata sulla vita effettiva». Per i cristiani il riconoscimento del compimento e l’attesa operosa della manifestazione finale scaturiscono dallo stesso principio: l’evento cristologico. Una libertà che non si misura con la morte non vive in pienezza la sua possibilità. Nella morte e risurrezione di Gesù si realizza l’eschaton, il definitivo della storia, di Gesù, anzitutto, e, in lui e per lui, anche di ogni uomo. È in questa prospettiva che si può riproporre il monito di Karl Barth: «Un cristianesimo che non è in tutto e per tutto e senza residui escatologici, non ha niente da fare con Cristo».
Come si articolerà il convegno?
I lavori saranno scanditi in tre sessioni. La prima è dedicata a un doppio ingresso, di taglio antropologico-fondamentale e storico-sistematico. Carla Canullo, docente e fine conoscitrice del pensiero fenomenologico, rifletterà sui paradigmi contemporanei della temporalità. Sergio Ubbiali, ordinario di questa Facoltà, prenderà invece in esame il dibattito teologico di fine Ottocento e inizio Novecento, che ha riproposto la centralità della questione escatologica. Nella seconda sessione il teologo Klaus Müller, dell’Università di Münster, illustrerà come il motivo escatologico agisca, con sorprendente vigore, nel pensiero politico contemporaneo. Al professor Giuseppe Noberasco è affidato l’affondo teorico sul nesso tra la determinazione definitiva del tempo, realizzata nella libertà di Gesù, e la possibilità dischiusa alla nostra libertà di riprendere e determinare quella Verità con un’impronta personale. Nella terza e ultima sessione, con i docenti Stefano Romanello e Alberto Cozzi si vuole mostrare come la Scrittura, in particolare la letteratura paolina, modelli l’immaginario delle cose ultime e come il linguaggio dogmatico si ponga a servizio di una speranza che libera la libertà.