Don Natale Castelli (Decanato Venezia) anticipa alcuni contenuti dell’Assemblea dei Decani in programma a Seveso: «Comunità e missione sono gli scopi del Decanato, che deve trovare il modo migliore per intercettare la vita della gente, prestando attenzione alla comunione e alla formazione dei preti»
di Luisa
BOVE
Gli oltre 70 decani della Diocesi sono convocati martedì 5 febbraio al Centro pastorale ambrosiano di Seveso per confrontarsi sulla Pastorale d’insieme a partire dal documento intitolato “Chiesa dalle genti, Chiesa tra la gente, Chiesa tra le case”. Si avvia così un discernimento che si concluderà nel 2020 con scelte precise che coinvolgeranno i Decanati, le Comunità pastorali e gli oratori. In effetti oggi il contesto sociale ed ecclesiale è in grande trasformazione: per questo la Diocesi invita a ripensare al ruolo strategico e all’azione pastorale dei Decanati stessi. Ne abbiamo parlato con don Natale Castelli, parroco del Santissimo Redentore e decano del Decanato Venezia.
Secondo lei da dove occorre partire?
Oggi siamo invitati a guardare al contesto che alcuni dicono sia segnato dalla rivoluzione digitale, dal fatto che si modifica la percezione di ciò che è vicino e di ciò che è lontano. Per questo anche il Decanato, legato al semplice territorio, rischia di vivere una crisi. Invece deve realizzare i suoi scopi, che sono la comunità e la missione. Deve quindi trovare il modo migliore per intercettare la vita della gente, tenendo conto anche di un altro scopo molto importante: la comunione e la formazione dei preti.
Cosa deve cambiare rispetto ai preti?
Se un prete non può più vedersi come figura centrale (col rischio del clericalismo), ma deve considerarsi in un presbiterio e in dialogo con la realtà nella quale vive, allora anche i confini territoriali del Decanato possono favorire la vita del presbiterio. Penso alla possibilità di una formazione più ampia, più “ariosa”, e nello stesso tempo a un dinamismo nell’azione della Chiesa. Nel nostro caso l’unificazione di alcuni Decanati nella zona est di Milano potrebbe portare a coincidere con il Municipio. Occorrerà riguardare all’interno del nostro territorio e individuare possibili esperienze di comunione, in zone omogenee, ma con una visione globale. Per esempio, da noi la zona Città Studi è connotata da una grande densità di studenti, pertanto si dovrà passare da una concezione territoriale di parrocchia a una concezione invece di appartenenza alla condizione giovanile. Sapendo però che le parrocchie rimangono un’avanguardia della Chiesa, luoghi che in modo immediato intercettano le persone.
Il volto della Chiesa ambrosiana negli ultimi anni è molto cambiato, sul territorio sono presenti persone di diverse nazionalità. Come camminare insieme e comunicare il Vangelo?
Considerando che di fatto ci sono persone di diversa provenienza che vivono normalmente la vita della Chiesa. È una Chiesa che deve permettere a tutti di vedere il volto di Cristo attraverso se stessa, è una Chiesa attenta alle genti, alle persone che da diverse tradizioni accostano la Chiesa ambrosiana e hanno il diritto di vivere la Chiesa ambrosiana.
Anche il Consiglio pastorale decanale necessita di adeguarsi alle esigenze di oggi? Come?
I Consigli pastorali decanali devono essere rivitalizzati e reinventati: in metà della Diocesi neppure esistono o non incidono, perché è molto forte l’attenzione della singola Comunità pastorale o parrocchia con il proprio Consiglio pastorale. Eppure abbiamo bisogno di una visione d’insieme. Il Consiglio pastorale decanale, con una ridefinizione dei confini territoriali, può aiutare ogni realtà locale a vivere una pastorale d’insieme e non abbandonata a progetti parziali.
L’invito però è alla creatività e alla leggerezza, nonostante le dimensioni…
Creatività e leggerezza sono caratteristiche stupende della Chiesa che si deve ripensare, come l’abbattimento del clericalismo e dell’accentramento sulla figura del semplice prete. Nella Chiesa più leggera, capace di lanciare ponti, la ridefinizione dell’identità del prete è molto importante. L’inserimento dei preti appena ordinati deve avvenire laddove c’è un presbiterio che permetta una buona crescita di questo seme (il sacerdote novello) che viene gettato. Il prete deve mostrare il volto di Gesù, deve vedere la persona reale. Il modello è Gesù che, passando, vide un uomo, non un problema. Se il prete è ancorato a Gesù, diventa generativo. La Chiesa là dov’è deve imparare a intercettare il vissuto delle persone.