In Duomo è stata celebrata la Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Dall’Arcivescovo, un invito ad accogliere e a portare alle persone l’annuncio dell’Angelo di Dio. Una «missione», come l’ha definita

di Annamaria Braccini

Immacolata Duomo 2018 (E)

Le tristezze struggenti, le speranze deluse, gli amori sognati e mai compiuti, i figli attesi mai arrivati, le solitudini desolate e, poi, l’annuncio di gioia che porta l’Angelo del Signore a Maria, ma anche a ognuno di noi, se solo vogliamo ascoltare la sua voce.

In Duomo, l’Arcivescovo presiede il Pontificale nella Solennità dell’Immacolata Concezione nel quale – come dice, nel suo saluto introduttivo, l’arciprete della Cattedrale, monsignor Gianantonio Borgonovo – si ricordano anche gli anniversari di Ordinazione presbiterale dei Canonici del Capitolo Metropolitano. In questo 2018, il 60esimo di monsignor Luigi Manganini, arciprete emerito e di monsignor Luigi Bavera. Con i membri del Capitolo concelebrano anche i sacerdoti della Prelatura dell’Opus Dei che porta a compimento il cammino tradizionale della Novena dell’Immacolata in Duomo.

L’omelia del vescovo Mario nasce, dando voce ideale ai sentimenti dell’Angelo, dal riferimento al Vangelo dell’Annunciazione. L’angelo, l’arcangelo Gabriele, il cui “mestiere”, come inviato a Nazaret, non fu facile, così come non lo è in qualsiasi altra città. «Forse neppure a Milano è tanto facile essere mandati per portare un annuncio da parte di Dio».

​Infatti, come è possibile provare a dire la gioia in un mondo come quello, allora, di Galilea e qui e adesso, di duemila anni dopo?

«La gente indaffarata, tutta presa dagli impegni, dalle scadenze, dagli affari, quando sente l’annuncio della gioia alza appena la testa e la scuote e disapprova. “Non perdere tempo Angelo. Pensa a lavorare, gli affari sono affari e il tempo è denaro”. Il veleno del serpente antico ancora avvelena la vita con l’avidità e la frenesia».

Ci sono quelli che non capiscono, gli invidiosi, i presuntuosi, «i mercanti di allegria a prezzi scontati che minacciano l’Angelo con una evidente ostilità», perché il mercato della gioia, nel paese dell’euforia artificiale a buon mercato, è loro: «Vendiamo a buon prezzo polveri che fanno sognare, filtri magici che rendono euforici, giochi che inculcano frenesie di ricchezze improbabili. Provate ad annunciare a questa gente».

E, poi, appunto (ma, forse, prima di tutto), «ci sono le tristezze struggenti, le ferite dolorose della vita come le speranze deluse, gli amori sognati che non si sono mai compiuti, i figli attesi che non sono mai arrivati o che non hanno mai visto la luce, le solitudini desolate di chi ha dato tanto a tanti e si rende conto che al bisogno non riceve niente da nessuno. Di fronte alle pene inconsolabili, l’annuncio muore sulle labbra. Il veleno del serpente antico ancora avvelena le tristezze struggenti insinuandovi il sospetto sull’insensibilità di Dio o sulla sua assenza».

Insomma, è evidente che la missione dell’Angelo è questione complessa, anche nella casa di una giovane Maria turbata, dove l’annuncio diviene, poi, canto e lode del magnificat.

Sembra, con le espressioni dell’Arcivescovo, di essere in quella stessa casa sperduta in Galilea. «L’annuncio alla gioia non entra come un’allegra eccitazione, come una piacevole distrazione dai fastidi della vita. È invece una proposta di vita. È una chiamata, non un sentimento; è un fuoco che arde dentro, non un lasciarsi andare disimpegnato alla baldoria. È l’apertura di un orizzonte impensato, non l’esaudimento di un desiderio. L’annuncio della gioia consegna un nome nuovo: “piena di grazia”. È una rinascita, il dono di una vita nuova, la rivelazione dell’identità più vera. All’annuncio della gioia di Dio viene alla luce la verità profonda della persona amata dal Signore, si aprono nuove strade. L’annuncio della gioia rivela la verità profonda del cuore».

È, in una parola, la promessa – che conta sull’alleanza con il Dio fedele – destinata a cambiare il mondo e la storia. «E, così, gli indaffarati, malati di avidità e frenesia, trovano pace e si aprono alla gioia; i presuntuosi e gli idolatri, malati di passione e di orgoglio e di suscettibilità, sono liberati e imparano l’umiltà e la purezza di cuore; gli afflitti, malati di sospetto sulla bontà di Dio, sono riconciliati e imparano a irradiare bontà oltre ogni confine desiderato».

Questa è la missione che deve continuare, da portare avanti ogni giorno, conclude l’Arcivescovo. «Forse, ciascuno di noi è mandato nella sua città a incontrare le persone per annunciare la gioia, per dire “rallegrati”, non come un sorriso passeggero, ma come una vocazione a dare compimento alla vita. Amati dal Signore abbiamo una missione da svolgere per dire “Il Signore è con te”. Non si è mai soli. Se ci azzarderemo a realizzare tale missione proveremo la stessa fierezza dell’Angelo Gabriele».

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