Si apre l’anno caratterizzato dallo slogan «Via così!», ispirato alla Lettera pastorale. Il direttore della Fom anticipa i contenuti fondamentali: dimensione missionaria, valorizzazione dell’integazione sulla scia del Sinodo minore, rivalutazione dello sport, attenzione formativa per gli educatori sui fronti del bullismo e del cyberbullismo
di Luisa
BOVE
Domenica 30 settembre, in tutte le parrocchie della Diocesi, si tiene la festa di apertura degli oratori. Lo slogan «Via così!», che accompagna l’anno pastorale 2018-19, «esprime la volontà di tradurre per i ragazzi la Lettera pastorale dell’Arcivescovo Cresce lungo il cammino il suo vigore – spiega il direttore della Fom don Stefano Guidi -. È un titolo che in se stesso riporta un’attenzione educativa perché allude alla crescita. L’oratorio è servizio alla crescita, non solo per i ragazzi, ma per la comunità che si coinvolge nella crescita dei più piccoli. Riprendiamo anche l’idea del pellegrinaggio, cui l’Arcivescovo è affezionato, e diciamo che l’oratorio è la Chiesa dei ragazzi in cammino, l’oratorio è il pellegrinaggio dei ragazzi».
Che cosa rappresenta il logo che avete scelto?
C’è un quartiere che dice dove l’oratorio sta, ma soprattutto dove i ragazzi vivono. È un quartiere che viene colorato dal cammino ordinario, quotidiano dei ragazzi che nel logo sono rappresentati con i puntini colorati: sparpagliandosi colorano gli ambienti di vita. È l’idea di oratorio non ripiegato su di sé, ma che si proietta all’esterno e che colora tutto il vissuto.
Per questo avete scelto come testo di riferimento il brano del Vangelo sull’invio dei 72 discepoli?
Sì. È l’idea di un oratorio che vive l’esperienza apostolica, dei discepoli che vengono mandati per colorare il mondo. Tra i temi di quest’anno c’è la dimensione missionaria e l’intenzione di portare in oratorio il grande slancio del Sinodo minore «Chiesa dalle genti». Poi c’è l’intenzione di ridare significato allo sport in oratorio, un’esperienza rivisitata, rivalutata e in certi casi rianimata con una serie di strumenti che metteremo a disposizione. Il terzo elemento portante è un’attenzione formativa: attraverso “OraMIformo” (che si affianca a “EduCare”) dotiamo educatori, genitori, allenatori, dirigenti sportivi di quegli strumenti minimi per riconoscere complessità e bisogni educativi e accompagnare situazioni di disagio legate alla crescita.
Oggi sono sempre più diffusi tra i ragazzi episodi di bullismo. Voi cosa fate per diffondere una cultura diversa?
Prendiamo le mosse dall’input che ci ha lanciato papa Francesco lo scorso anno visitando la Diocesi, quando nel suo discorso ai ragazzi e ai cresimandi a San Siro si è soffermato in modo determinato sul problema del bullismo. Cosa facciamo? Beh, ci rendiamo conto che gli oratori già rispondono a questo problema, però ci sembra – come Diocesi – di fare un’operazione di grande portata, mettendo a disposizione di tutti gli oratori quelle competenze elementari, ma indispensabili, che permettano agli educatori di cogliere e intuire eventuali situazioni di disagio dei ragazzi e delle loro famiglie. Quest’anno ci occuperemo in particolare di cyberbullismo.
La presenza di ragazzi stranieri di seconda generazione o nati in Italia da genitori stranieri, è vissuta come ricchezza o c’è ancora chi discrimina?
L’oratorio, con i mezzi semplici e accessibili che ha a disposizione, è un grande ambito di integrazione quotidiana. L’oratorio lo è – mi permetto di dire -, forse anche più della scuola, perché le esperienze dell’oratorio mettono tutti i ragazzi nelle condizioni di un incontro alla pari, come fanno anche le società sportive negli oratori, con un’accoglienza attenta e incondizionata verso tutti. I bambini cominciano a socializzare e a incontrarsi tra di loro, scoprono che chi è diverso da loro può essere un amico, e questa è già un’esperienza di grandissima integrazione. Non nascondiamo che ci sono anche criticità: penso ad alcune situazioni della periferia di Milano o in quartieri di altre città della Diocesi. Tuttavia vediamo soprattutto ciò che l’oratorio rappresenta in tanti quartieri: in tante situazioni diventa un’iniziale e stabile presidio sociale per costruire relazioni di base. Tutti gli Osservatori lo stanno dicendo: c’è l’oratorio e poco altro. Rispetto all’integrazione, stiamo dicendo di continuare a proporre l’esperienza dell’oratorio anche ai ragazzi che provengono da altre culture. È straordinario ciò che nella normalità gli oratori riescono a fare.
Oggi i genitori sono vostri alleati nell’azione educativa?
I genitori sono i primi alleati. Paolo VI – non lo cito a caso, vista la prossima canonizzazione e dato che abbiamo chiesto all’Arcivescovo di scrivere un decalogo per gli oratori, quasi sulla scia del decalogo di monsignor Montini – diceva che l’oratorio è quel servizio complementare alla famiglia e alla scuola: in questa complementarietà c’è la necessità di una relazione, di una solidarietà educativa, per cui i genitori sono i nostri primi interlocutori. L’oratorio non si pone mai né contro, né senza l’apporto dei genitori. Non penso soltanto ai genitori che materialmente, soprattutto d’estate, si mettono a servizio, dando anima e corpo per sostenere l’oratorio, ma a quel dialogo tra figure educative essenziale se si vuole davvero aiutare un ragazzo a crescere».