Un progetto rivolto a volontari, agenti penitenziari e alle stesse donne per migliorare l’efficacia degli interventi di reinserimento sociale
È iniziato ufficialmente questa mattina nel carcere di San Vittore il progetto F.A.Se, Formare, Accompagnare, Sensibilizzare. Il programma, finanziato da Regione Lombardia e Fondazione Cariplo, si avvale dell’apporto di diverse associazioni tra cui Sesta Opera San Fedele (capofila), Caritas Ambrosiana, Opera Nomadi, Progetto Onesimo (cooperativa sociale attiva nel reinserimento dei detenuti) e la cooperativa Dike, esperta di percorsi di mediazione dei conflitti sociali in contesti urbani segnati dalla multiculturalità.
Davanti a una platea di volontari, agenti penitenziari e alla presenza di Giacinto Siciliano, direttore del carcere di San Vittore e di Marianna Grimaldi, direttrice dell’Icam, sono stati illustrati contenuti e finalità degli incontri che si svolgeranno da qui a giugno e che prevedono anche l’apertura di uno sportello di consulenza all’interno dell’Icam di Milano – l’Istituto a custodia attenuata per detenute madri – unico esempio In Italia di istituto sperimentale in grado di ospitare donne detenute con i loro figli. Inoltre, presso la sede di Sesta Opera San Fedele sarà inoltre attivo da giugno un servizio di assistenza post-detenzione, per incrementare le opportunità socio-lavorative.
«È la prima volta in Italia che viene avviato un progetto che coinvolge tutti gli aspetti del percorso di riabilitazione e reinserimento sociale – ha spiegato Guido Chiaretti, presidente di Sesta Opera San Fedele, capofila del progetto -. Un programma particolarmente delicato e importante, in quanto tocca uno dei nodi più fragili della società Rom, le donne e i loro bambini. Un’opportunità davvero preziosa per cercare di accompagnare queste persone verso condizioni di vita migliori e permettere loro di affrontare al meglio il difficile ritorno alla comunità originaria, coinvolgendo anche le loro famiglie».
Il ciclo di incontri interculturali cerca di rafforzare i rapporti tra volontari, società civile e detenute anche dopo il periodo di detenzione, per non disperdere le competenze e la consapevolezza personale, faticosamente acquisite dalle donne Rom dell’Icam di Milano. Un percorso che però troppo spesso viene poi abbandonato, una volta ritornate in libertà e che va, quindi, potenziato e sostenuto. Grazie, infatti, alla consapevolezza maturata nelle ex detenute, è possibile aprire percorsi nuovi ed evitare il rischio della recidiva, a beneficio di tutta la collettività.