Difficoltà e speranze emerse dalla consultazione della base che ha costituito la fase centrale del Sinodo minore

Chiesa dalle genti

La consultazione della base che ha costituito la fase centrale del Sinodo minore ha prodotto circa 600 contributi provenienti da molteplici realtà del territorio (parrocchie, istituti di vita consacrata, scuole, amministrazioni pubbliche, associazioni, comunità straniere, ecc). Ne stanno emergendo difficoltà e speranze in ordine alla costruzione della «Chiesa dalle genti». Ne presentiamo sinteticamente alcune.

Creare percorsi che costruiscano convivenza

Per i giovani universitari della Cattolica spesso lo straniero è considerato categoria «portatrice di problemi» e i sentimenti più diffusi sono «paura, diffidenza, insicurezza», spesso dovute a disinformazione. Sovente esperienze di incontro con persone di altre culture avvengono a scuola, in oratorio, nelle associazioni di volontariato. Gli stessi giovani intendono contribuire «a creare le condizioni per percorsi che costruiscano convivenza». Si sono resi conto che «la presenza di persone che emigrano ci apre finestre su questioni che vanno affrontate». La Chiesa è considerata attenta alle persone migranti e vive la ricchezza della diversità, ma l’esperienza religiosa è sempre meno fondamentale per la vita. Ai giovani piacerebbe una Chiesa «meno individualista e pigra», che ascolta, cammina e sta nella realtà» Poi dicono: «Noi potremmo esserci di più, sentendoci investiti di fiducia dagli adulti».

Un meticciato dal basso

La multiculturalità nella nostra Chiesa è «profezia» e «grande missione» a cui tutti siamo chiamati. Ne sono convinti alla Casa della carità, anche se riconoscono che le paure non mancano, ma vanno affrontate tutti insieme. Auspicano un «meticciato dal basso» che coinvolga Decanati e Comunità pastorali, con il contributo di associazioni, movimenti e soggetti sul territorio. A Gallarate, dopo le prime diffidenze, ben 5 realtà parrocchiali del Decanato hanno messo a disposizione «strutture abitative che accolgono piccoli gruppi di migranti». «Spesso i fedeli migranti – ammettono – vivono una situazione di isolamento rispetto alla comunità cristiana, anche per difficoltà legate al nostro atteggiamento di scarsa attenzione». Nel decanato di Rho riconoscono che «la partecipazione dei fedeli migranti alle attività ordinarie è praticamente nulla» e questo li interroga. Sono presenti invece nello sport, nel volontariato laico e nelle iniziative scolastiche.

Momenti di condivisione con le parrocchie

«Ci sentiamo stranieri nella nostra stessa fede – dicono i fedeli della comunità salvadoregna del Centro Schuster -. Stare fuori patria, con le sue condizioni di oggettiva precarietà, modifica la fede. Questa risulta come inesorabilmente attratta verso una contrazione sulla Messa domenicale, senza più le molteplici e quotidiane forme della partecipazione e della condivisione nella comunità». Tra le attese «più vive» sperano in una Chiesa dalle genti che «abbia particolarmente a cuore le fatiche e le speranze di quanti vivono in situazioni di marginalità ecclesiale: fedeli separati, conviventi, chi abbandona la Chiesa attratto dalle sette neo-pentacostali». E poi occorre «inventare momenti e forme di condivisione con le comunità parrocchiali con le quali, fino a oggi, non c’è stato alcun tipo di rapporto».

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