Affrontato il tema delle prospettive occupazionali dei giovani: tra i molti presenti, alcuni impegnati nei cammini di formazione professionale. Delpini: «Preghiamo che gli adulti sappiano insegnare un mestiere alle nuove generazioni»
di Annamaria
Braccini
«Siamo qui per incoraggiarci a vicenda nella fede, per vivere soprattutto un momento di preghiera». Sono queste le prime espressioni con cui l’Arcivescovo si rivolge ai molti che, presso l’Auditorium universitario “Levi” partecipano alla Veglia per il Lavoro promossa dalla Diocesi, la prima con la presenza di monsignor Delpini nella sua veste di Pastore ambrosiano. In prima fila ci sono il vicario episcopale per l’Azione Sociale, monsignor Luca Bressan, l’assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia, Raffaele Cattaneo, il direttore della Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti e il presidente della Fondazione Clerici e di Confap, la Confederazione Nazionale Formazione Aggiornamento Professionale.
«Questa sera vogliamo continuare un dialogo già iniziato nella Giornata della Solidarietà, proseguendo sul tema di “Giovani e lavoro. Quale futuro?”, spiega don Walter Magnoni, responsabile del Servizio per la Pastorale Sociale e il Lavoro, introducendo la veglia articolata in tre parti.
La prima si intitola “La provocazione” e mantiene la promessa nelle appassionate letture teatrali di Stefano Orlandi e Mila Boeri. Il primo, come tanti esperti, parla di dignità della persona e lavoro, anche «se la dignità stessa non può essere ridotta solo a tale dimensione, perché sennò è lavorismo. Non è quanta strada hai fatto, ma come l’hai fatta che conta». La seconda, che impersona una studentessa, riporta l’alto discorso dell’immaginario docente «alla realtà».
«I lavoratori stagionali, nel Paese, sono mezzo milione e non hanno diritti, ci sono cameriere romene che guadagnano 1 euro a camera».
Schiavi moderni, come gli “scontrinisti” della Biblioteca Nazionale di Roma. Niente ferie, malattie, congedi e contributi previdenziali, solo tanti scontrini, da raccogliere anche per terra, per poterli consegnare e ottenere così un rimborso spese di 400 euro mensili. Poi, ci sono i precari a vita o i 10 ricercatori italiani che hanno realizzato un telescopio acquisito dalla NASA. Il “Tiger team” li chiamano, ma il loro stipendio 950 euro al mese. «Ma che Paese è, quello in cui dove un fisico nucleare prende questo stipendio e un blogger o un influencer 100 volte di più?», ci si chiede.
E se non ci fosse da piangere, verrebbe da ridere.
Si continua con la seconda sezione, “La proposta”. Simona Riboni, architetto impegnata dal 2008 con coloro che hanno difficoltà abitative, coinvolti anche attraverso una formazione professionale, delinea “La città a-venire” con il nome, bello ed evocativo, del progetto nato nel 2016, per ripristinare alcuni alloggi per minori non accompagnati, cui hanno partecipato dei giovani che hanno ristrutturato case per i ragazzini che arriveranno dopo di loro.
Samantha de “La rotonda” di Baranzate di Bollate, 72 etnie, con il primato italiano di presenza straniera, pari al 32% della popolazione, il comune con il minore reddito procapite della città metropolitana, racconta: «Pensando, anzitutto, ai poveri, dalla parrocchia Sant’Arialdo, è sorta la “Rotonda”, come il cardinale Martini definì la Chiesa. Aiutiamo a passare dall’assistenza all’autonomia, in modo che le persone possano trovare una nuova strada». Come accade nella sartoria sociale che dà lavoro retribuito e stabile e 9 donne e senza dimenticare l’accompagnamento dei giovani dai 19 ai 29 anni attraverso percorsi formativi e Borse lavoro di 6 mesi».
Stefano, agricoltore alle porte di Milano, accoglie, invece, ragazzi con trascorsi problematici, per accompagnarli in un’occupazione e dal punto di vista umano. Fa parte, con la sua azienda, della rete delle 50.000 imprese giovani legate a Coldiretti, per la maggioranza al sud.
Infine, prende la parola Mauro del Centro di Formazione professionale di Arese, dove «è abbattuto il divario tra scuola e modo del lavoro, anche attraverso lo strumento prezioso degli Apprendistati di Primo livello».
Ma come trovare, sul luogo di lavoro, figure adulte di riferimento, domanda Giovanna, al suo inizio di cammino lavorativo in un ospedale considerato di eccellenza.
Paolo Petracca presidente delle Acli Milano e Monza-Brianza, legge una pagina dell’Enciclica “Laudato Sì”, che di parole chiare ne offre tante. Qualche risposta arriva, infine, da monsignor Delpini.
L’intervento dell’Arcivescovo
«Io non credo nel negli esiti decretati dalle previsioni, credo nelle occasioni, professo la mia fede in Dio e, quindi, credo che la vita non sia una insieme di coincidenze, non una combinazione di fattori casuali, qualcosa che non viene da nessuna parte e non va in nessuna direzione. Penso che siamo uomini e donne che, situati dentro circostanze ben determinate, hanno la possibilità e la fatica di scegliere, pagando il prezzo delle scelte. Il tema dei giovani di fronte al lavoro e alle ingiustizie; della società con la mancanza del lavoro e davanti alle drammatiche prove che, talvolta, occorre affrontare, impone la responsabilità di scegliere. Ritengo che si possa descrivere ciò stanno vivendo i giovani come una generazione che si sente spinta da comandamenti, da genitori, da gente che dice: “avanti, avanti!”, sempre un progresso più grande, una tecnologia più potente: a verso dove? Con quale scopo? Il nostro tempo ha questa tremenda pressione alle spalle e un futuro confuso, persino minaccioso».
Da qui la responsabilità: «Noi cristiani abbiamo una proposta da fare, una promessa da annunciare, che si riassume in due parole, la prima è vocazione».
«Viviamo perché siamo chiamati alla vita, affrontiamo le nostre responsabilità perché siamo chiamati a dare una risposta al nostro vivere. Non siamo un frammento insensato in un universo che lo è altrettanto. Veniamo da un amore, il Signore, che ci ha chiamato per nome.
Questo ci autorizza ad avere stima di noi stessi, perché siamo, addirittura, interlocutori di Dio che si aspetta qualcosa di buono da noi. Non siamo presuntuosi o illusi, non crediamo in soluzioni miracolistiche, ma abbiamo la consapevolezza di una libertà da giocare, dicendo sì al bene e no al male con un principio di discernimento».
Un tema – questo della vocazione – troppo taciuto anche di fronte alla tematica del lavoro che rischia di essere ridotto unicamente alle esigenze del momento, a ciò che il mercato chiede, per Delpini, mentre «noi siamo attratti da una speranza di felicità».
La seconda parola, è insieme, alleanza, condivisione.
«Insieme possiamo farcela. A volte penso che sarebbe interessante entrare nella bottega del falegname di Nazareth, che aveva con lui un giovane che si chiamava Gesù. Dice il Vangelo: Gesù stava sottomesso e imparava il mestiere: invochiamo adulti che lo sappiano insegnare».
«Giovani che, stando sottomessi, poi, hanno l’audacia di andare oltre. Questa insoddisfazione per come vanno le cose, per il lavoro e le sue difficoltà, non è un destino, ma un’occasione».
Insomma, gente che impara e gente che insegna, camminando insieme»: questa è la soluzione.
La consegna del Mandato, sotto forma di una preghiera a San Giuseppe artigiano, conclude la Veglia, prima che, a margine, l’Arcivescovo intervistato dai giornalisti, aggiunge qualche osservazione. «Ciascuno può fare un piccolo passo, trovare qualche iniziativa per trovare una soluzione nel problema complessivo, ma la politica è la grande assente. Le condizioni per una politica del lavoro non possono dipendere dalla buona volontà, dalle occasioni propizie che si presentano o dallo sforzo di qualche imprenditore di buona volontà e lungimiranza creativa, hanno bisogno di provvedimenti ad hoc e di un quadro politico indispensabile».