Cittadinanza, vicinanza, alleanza, lungimiranza, speranza. Sono queste le parole-chiave per governare bene, indicate dall’Arcivescovo a un centinaio di sindaci e amministratori locali della Zona pastorale V

di Annamaria Braccini

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Stringe la mano a tutti e spiega di non avere soluzioni, ragionamenti politici o proprie strategie da offrire, ma solo cinque parole rimate ̶ anche se, ammette, «poeticamente non un granché» ̶ da dire al centinaio e più amministratori locali della Zona pastorale V che lo ascoltano nell’Aula magna del Dipartimento di Medicina dell’Università Bicocca di Monza.
Il messaggio che l’Arcivescovo di Milano intende proporre a chi si occupa della cosa pubblica sul territorio arriva, infatti, forte e chiaro: per ben governare occorrono cittadinanza, vicinanza, alleanza, lungimiranza, speranza.
Con un papà che «ha fatto l’assessore ai Lavori pubblici e un fratello consigliere comunale ho constatato la dedizione di chi amministra, non sempre ricambiata da un adeguato apprezzamento», osserva subito rinnovando la simpatia e la stima per il lavoro svolto, già espresso nel suo Discorso alla Città intitolato “Per un’arte del Buon vicinato”. Pronunciamento che è alla base della riflessione e che è stato distribuito a coloro che partecipano all’incontro proprio per approfondirne il significato.
Apre gli interventi il prefetto di Monza, Giovanna Vilasi; sette i sindaci brianzoli che ̶ uno per Decanato e rappresentando tutti i colleghi ̶ prendono la parola per raccontare la vita quotidiana di chi sta in Municipio, Dario Allevi di Monza, Roberto Corti di Desio, Concetta Monguzzi di Lissone, Alessandra Pozzoli di Arosio, Matteo Riva di Giussano, Luca Santambrogio di Meda, Francesco Sartini di Vimercate. Sono presenti anche il vicario episcopale per la Zona V monsignor Patrizio Garascia, i Decani e il responsabile della Commissione per l’animazione sociale zonale, Sabino Illuzzi. Si incrociano esperienze e narrazioni di diverse appartenenze politiche e convinzioni tra immancabili ombre, ma anche realtà positive di un welfare non solo economico, fatto di sinergie e relazioni che, da decenni, è l’orgoglio di questo operoso spicchio del Paese, spesso all’avanguardia non solo in Lombardia.
Arriva così la prima delle parole delpiniane: «Cittadinanza. Ridefinirla è un compito che abbiamo tutti. Essere cittadini qualche volta significa sentirsi in diritto di pretendere che i propri bisogni siano soddisfatti. Questo atteggiamento del cittadino come cliente disgrega la nostra convivenza, perché la cittadinanza è, invece, un senso di appartenenza che diventa risorsa del luogo in cui si abita. Dobbiamo formare a questo: i cittadini non sono utenti, voti per una conferma elettorale, sono parte attiva. Se non matura tale senso di corresponsabilità non ce la faremo mai».
Dunque, cittadini come protagonisti «che hanno diritto a criticare e a dire la propria visione, ma che soprattutto hanno il dovere di vivere con questa persuasione».
Un cammino di presa di coscienza sociale che coinvolge, ovviamente, anche la Chiesa «che deve educare a essere buoni cittadini coloro che lo sono già, ma anche coloro che attendono di diventarlo o che non lo diventeranno mai perché sono solo in transito. Persone, queste ultime, che non possono essere unicamente destinatari di un’assistenza o di una accoglienza benevola, ma che hanno diritto di esprimersi».
Da qui una breve osservazione: «Sentire i migranti come un minaccia incombente nasce, forse, dal percepirli come estranei che invadono il territorio», dice l’Arcivescovo invitando a non fare di tutt’erba un fascio senza distinguere le tipologie di chi arriva nel nostro Paese.
Poi, la seconda parola: vicinanza. «L’Amministrazione pubblica ha il dovere di essere vicina alla popolazione. L’idea di un individualismo che si chiude in una stanza dove giunge tutto il mondo grazie agli strumenti della comunicazione, ma che lascia fuori la carne e il sangue, non funziona. Stringete la mano ai vostri cittadini, sorridete, informatevi della loro vita, entrate in un rapporto di vicinato che è una pratica semplice, ma efficace».
Ancora il terzo termine sempre in assonanza con gli altri: alleanza. «Il Primo cittadino deve essere al di sopra degli schieramenti ideologici, perché è il sindaco di tutti. Deve, quindi, coltivare forme di collaborazione, sentendo e convocando ogni presenza del territorio, che siano i responsabili delle Forze dell’Ordine, della scuola, dei presidi sanitari, i preti o i rappresentanti delle associazioni. Non è vero che c’è solo gente che pensa a se stessa, c’è, invece, una folla sterminata di persone che fa il bene, che si impegna nel volontariato». Tutti questi, secondo il Vescovo Mario, devono stringere un’alleanza. «Abbiamo delle cose su cui convergiamo: cerchiamo un sogno comune e realistico, affascinante e concreto, decidiamo insieme le priorità del territorio, celebriamo un patto e impegniamoci a praticarlo».
Lungimiranza è la quarta parola. «Lungimiranza che vuol dire guardare avanti non puntando solo sulla rielezione, ma volendo il bene del paese e immaginando il domani», operando con azioni che sappiano trasmettersi di amministrazione in amministrazione.
«Ciò richiede libertà spirituale e dalla poltrona, senso del servizio, una prospettiva capace di interrogarsi sui prossimi decenni» e non accusarsi sempre reciprocamente. «Anche se, alle prossime elezioni, vinceranno magari gli avversari non pensiamo che sia accaduto solo per cattiveria o per campagne screditanti. Questo modo aggressivo, ingiusto, violento di fare politica o discorsi politici non giova ai cittadini».
Infine, la speranza. «Mettiamo nel conto il malumore, il non essere d’accordo, ma non la sfiducia, l’impotenza che paralizza», scandisce Delpini in riferimento alla sensazione provata ed espressa dalla maggioranza dei sindaci. «Speranza come stima di sé e dei collaboratori, dei cittadini, e, per i credenti, come riserva di motivazioni e di umiltà nel riconoscere che non siamo i padroni della storia, ma siamo accompagnati da una Grazia che ci incoraggia», conclude l’Arcivescovo, richiamando a una precisa responsabilità. «Soprattutto, per i cattolici, essere il popolo del speranza, reagendo a quello delle lamentazioni, è un tema irrinunciabile».

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