L’arte della sinodalità vista dalle consacrate che giungono da lontano, in dialogo col clero ambrosiano e testimoni di fede negli ambiti pastorali in cui operano
di suor Elsy Elvira
TORRES CARRASCO
Missionaria del Sacro Cuore di Gesù di Xalapa, Componente della Commissione sinodale
«Il Sinodo, che vogliamo celebrare in questa forma minore – ha detto il nostro arcivescovo Mario Delpini -, non è un insieme di riunioni per concludere con un documento che accontenti un po’ tutti. È un modo di vivere il nostro pellegrinaggio con la responsabilità di prendere la direzione suggerita dallo Spirito di Dio perché la nostra comunità cristiana possa convertirsi per essere la “tenda di Dio con gli uomini”».
L’arte della sinodalità sta proprio nella capacità di metterci in cammino per capire il nostro modo di vivere, nel creare rapporti, nel costruire dialoghi che siano veramente la tenda di Dio con gli uomini.
Sacerdoti, testimoni di accoglienza
«Attirerò tutti a Me»: questa frase dal Vangelo di Giovanni, che ha ispirato lo sviluppo del testo-guida, esprime il profilo del carattere umano e spirituale del sacerdote ambrosiano. Per noi consacrate venute dall’estero sono fondamentali i primi approcci con le persone con cui ci troviamo a collaborare.
La convivialità e la fraternità evangelica la sperimentiamo prima di tutto con i sacerdoti. Sono loro i primi “testimoni di accoglienza”. Questo incontro è caratterizzato anzitutto dell’ospitalità, poi c’è un’apertura qualificata dal dialogo, nonostante gli ostacoli e le difficoltà (linguistiche, culturali, ecc) che inizialmente si possono incontrare. Il dialogo è condizione necessaria per la collaborazione e l’organizzazione della pastorale. In primo luogo è una conversazione sulla vita umana, condividendo la propria storia, le gioie, ma anche le prove della vita. Il dialogo è fruttuoso nella misura in cui aiuta a condividere anche la propria chiamata. Ricordo uno dei miei parroci, che un giorno ci esortò a raccontare la nostra vocazione: quel dialogo ha costruito un tessuto relazionale che ci ha fatto più “fratelli”, “Chiesa dalle genti”.
Per noi stranieri la vita presbiterale è segno eloquente della presenza di Dio tra gli uomini, rivestita di saggezza e sobrietà. Ammiriamo la capacità di prendere decisioni e operare scelte sagge per la pastorale: saggezza e sobrietà sono doni che aiutano a crescere e a maturare la fede e ci aprono le menti. I sacerdoti sono maestri nella guida spirituale, esercizio che nella mia esperienza in Messico non è adeguatamente valorizzato forse perché i parroci sono impegnati in parrocchie molto affollate. Preziosi per noi sono l’amore che hanno per il Vangelo, la premura e tenacia per annunciarlo, la cura nel preparare l’omelia. I sacerdoti sono uomini di preghiera e amanti della Eucaristia. Ho la fortuna di avere incontrato sacerdoti gioiosi, una gioia che nasce dal Vangelo.
«Tempo di meticciato per le terre ambrosiane»
Come suore venute dall’estero siamo qui per uno scopo ben preciso, che ci accomuna come Chiesa: Cristo, la sua Passione, morte e Risurrezione. Ogni consacrata, appartenente a qualsiasi istituto religioso, viene per trasmettere con tutta la sua vita questo annuncio di salvezza.
Tutte noi arriviamo con gioia, entusiasmo e voglia di spendere la vita per i fratelli, ma anche con le nostre paure umane, i limiti imposti da una lingua diversa. Dopo l’inserimento graduale nella comunità cristiana abbiamo bisogno di ricevere la formazione necessaria, affinché ci vengano affidati alcuni impegni specifici nella pastorale. Nelle parrocchie siamo inserite nella vita dell’oratorio, nella pastorale giovanile, nell’iniziazione cristiana, nella pastorale familiare, nella pastorale liturgica, nel servizio caritativo: in alcune collaboriamo con i coadiutori, in altre siamo responsabili. Se crediamo nella libera e generosa azione dello Spirito, quante cose possiamo imparare gli uni dagli altri! Si tratta di raccogliere quello che lo Spirito ha seminato in noi come un dono anche per voi. Attraverso uno scambio di doni, lo Spirito può condurci sempre di più alla verità e al bene (E.G, 246).