I Consigli pastorali al lavoro sulle tracce di «Chiesa dalle genti». Rosangela Carù (Gallarate): «Evitiamo l’affanno dell’urgenza e il rischio della burocrazia». Claudia Di Filippo (Milano): «Guardiamo con spirito profetico a una realtà già in atto»
Circolano domande, ci si scambiano riflessioni, c’è chi ha organizzato anche più di una riunione di Consiglio, momenti di preghiera e incontri di formazione. Ha trovato comunità pronte, il percorso del Sinodo diocesano «Chiesa dalle genti», che vuole (ri)definire le modalità con cui annunciare il Vangelo e vivere la fede in una realtà sempre più multietnica.
Come la liturgia e la vita delle parrocchie riflettono l’immagine di una Chiesa universale, in cui Dio attira tutti i popoli a sé? Come e quanto avviene lo scambio tra le nostre comunità e i migranti? Quali sono le paure, e come invece riusciamo a valorizzare chi porta una cultura diversa dalla nostra? Queste alcune delle domande su cui sono chiamati a riflettere i Consigli pastorali, per poi restituire la “voce” di parrocchie e comunità alla Commissione di coordinamento. «Non si tratta di elaborare idee, e pensieri su qualcosa, ma di costruire percorsi con, di aprirci al dialogo e al confronto – sottolinea Rosangela Carù, membro del Consiglio pastorale decanale di Gallarate, oltre che di quello diocesano -. Il Sinodo ci dà l’occasione di avere uno sguardo diverso, di allargare lo sguardo anche a chi è al di fuori delle nostre comunità». Ci sono, per esempio, esperienze di scambio che già viviamo con comunità e persone straniere, a cui però non abbiamo mai dato troppa attenzione? Carù mette in guardia poi da una preoccupazione comune per chi dovrà fare sintesi nei Consigli pastorali: «Anche se i tempi sono stretti, dobbiamo uscire dall’affanno di qualcosa che sia urgente, dal rischio di dare risposte burocratiche. Questi primi passi del Sinodo sono infatti solo l’inizio di un cammino».
Anche per le parrocchie di Milano il percorso sinodale è «l’occasione per guardare con spirito profetico una realtà già presente nella metropoli», segnala Claudia Di Filippo, della parrocchia di Santa Croce in via Sidoli, che coordina i rappresentanti dei Consigli decanali in città. Soprattutto nei quartieri più periferici, dove nelle classi scolastiche un terzo dei bambini è arrivato da poco in Italia o figlio di immigrati, la presenza delle comunità straniere nelle parrocchie è già una realtà. Proprio per questo – anche nelle risposte alle “schede” del Sinodo, sembra suggerire Di Filippo – «non bisogna dimenticarsi della concretezza della vita, partendo da quell’integrazione che a livello “artigianale” è già in atto». La sfida è senz’altro esigente: «Parlare di integrazione significa capire che anche noi dovremmo cambiare», sottolinea Di Filippo. «Voi lo farete davvero?», è stata – racconta sempre Di Filippo – la domanda di una sua comparrocchiana eritrea, sentendo le sollecitazioni ad adattare la liturgia anche agli stranieri. Una “provocazione”, forse, che riassume il cammino aperto dal Sinodo per la Chiesa ambrosiana.