In Cattedrale il concerto in onore di monsignor Delpini che ha definito l’istituzione «una ricchezza irrinunciabile per la nostra Diocesi». Chiesta attenzione ai linguaggi e alle espressioni del mondo contemporaneo per aiutare a pregare attraverso il canto
di Annamaria
BRACCINI
Ottobre, tradizionale e atteso Mese della Musica in Cattedrale, si tinge quest’anno di un particolare significato di festa per il “compleanno” della Veneranda Fabbrica del Duomo, istituita da Gian Galeazzo Visconti nel 1387 – 630 anni fa – e per la serata dedicata al nuovo arcivescovo monsignor Mario Delpini. Il concerto in suo onore e alla sua presenza, il secondo del ciclo di 5 promossi nel contesto dell’iniziativa musicale, si intitola Plena est terra gloria Eius, motto episcopale dell’Arcivescovo, che siede in prima fila accanto all’arciprete della Cattedrale, monsignor Gianantonio Borgonovo, e al presidente della Fabbrica, Fedele Confalonieri.
«Custodire e valorizzare l’arte musicale è per la Veneranda Fabbrica un dovere irrinunciabile, un compito che prima di tutto risponde al richiamo di serbare lo splendore del tesoro della liturgia ambrosiana cui Ella, dalla Cattedra di Ambrogio e di Carlo, ci insegna a guardare con fedeltà e spirito di servizio. Valori che sono incisi nel nostro patrimonio genetico e che continueremo ad onorare», dice Confalonieri nel suo saluto all’Arcivescovo.
Nel Duomo illuminato in modo sobrio e suggestivo, risuonano le note dei canti della liturgia ambrosiana eseguiti dalla Cappella Musicale. Dai secoli passati all’oggi, fino all’inno composto per l’ingresso di Delpini, quello che si dipana è una sorta di “viaggio” sospeso tra composizione musicale, liturgia, storia della Chiesa e della Cattedrale. Si inizia, per il tempo antico, con un canto addirittura pre-santambrosiano e si prosegue con Ambrogio che, definito «padre dell’Innodia occidentale», «fu certamente un attento conoscitore della tecnica musicale», spiega don Claudio Burgio, direttore della Cappella (di cui è stato allievo tra i Pueri Cantores). Accanto a lui il maestro Alessandro La Ciacera, secondo organista del Duomo. Dall’Inno Deus creator Omnium, molto amato da Sant’Agostino, esempio tipico di come Ambrogio vedesse nella musica un metodo di educazione popolare (come scrisse egli stesso), si arriva al periodo umanista con Franchino Gaffurio, primo Maestro della Cappella morto nel 1522, e al periodo di San Carlo Borromeo, nel quale anche la composizione e l’esecuzione di canti sono organiche ai dettami del Concilio di Trento.
Poi, ancora avanti con il Seicento del celebre umanista e poeta Grancini e di Giovanni Turati e il Settecento del rigore polifonico di Giuseppe Sarti e di Agostino Quaglia. Dall’Ottocento al Novecento (si fa riferimento al Motu proprio “Inter Sollecitudines” di Pio X, che regolamentava anche il rapporto liturgia-musica), il percorso è veloce, giungendo alla grande rivoluzione del Concilio con la possibilità di utilizzare l’italiano nei testi. Lo “storico” maestro contemporaneo Luciano Migliavacca (di cui Burgio è stato allievo), Dunuflé e lo stesso Burgio con diverse composizioni – tra cui la preghiera composta su un testo del cardinale Martini ed eseguita alle sue esequie – sono gli autori dei brani scelti. L’Ecce sacerdos Magnus con il quale Delpini è stato accolto in Duomo per il suo ingresso solenne e l’Inno che porta il nome del suo motto episcopale concludono il concerto, applauditissimo.
Alla fine è lo stesso Arcivescovo a prendere la parola, richiamando il ruolo della Cappella musicale, ininterrottamente attiva dal 1402, che è parte di quegli aspetti territoriali, quantitativi, organizzativi, culturali, monumentali «che, presi nel loro complesso, fanno della Chiesa ambrosiana la più grande del mondo». «Uno degli elementi della complessità della Diocesi che sono il nostro orgoglio è la Cappella musicale, anche oggi capace di produrre nuovi canti», aggiunge. «Esprimo il mio apprezzamento per questa ricchezza irrinunciabile e ringrazio di cuore la Fabbrica e il Duomo – sottolinea -. So che tenere viva la qualità artistica della Cappella comporta sacrifici anche per i coristi e le loro famiglie e considero la sfida che il canto liturgico pone alla Chiesa e alla comunità cristiana in un mondo contemporaneo dove sensibilità e tendenze, espressioni diverse pongono il problema di come si possa partecipare di quella coralità che loda il Signore. Voglio quindi incoraggiare la Cappella a continuare nel suo percorso, essendo attenta alle voci del nostro tempo e domandandosi come, accompagnando la liturgia del Duomo, si possa aiutare la nostra Diocesi a sentirsi un solo popolo di Dio».
Aiutare, insomma, a pregare con tutte le forme espressive possibili, perché, come diceva Agostino, «chi canta prega due volte».