In via Wildt 27 operatori e volontari aiutano le donne a imparare un lavoro e l'italiano. Dopo i primi anni con persone di origine macedone e kosovara, il progetto si è aperto anche ad altri Paesi
di Lorenzo
Garbarino
«L’ostacolo più grande per l’integrazione degli stranieri è la lingua. Abbiamo avuto una signora che è passata dal quasi mutismo a diventare un fiume in piena non appena ha cominciato a capire l’italiano». Testimone di questa trasformazione è Gabriella, volontaria al laboratorio sartoriale Taivè in via Adolfo Wildt 2, in zona Lambrate a Milano.
Il progetto ha sempre avuto l’obiettivo sociale di aiutare le donne straniere a integrarsi. Tutto è cominciato più di dieci anni fa nel campo rom di via Novara. «Quando siamo arrivate – racconta Sabrina Ignazi, referente dell’area rom e sinti di Caritas ambrosiana – la fotografia del campo era di un contesto di isolamento estremo, anche geografico. La struttura era infatti quasi fuori Milano e per le donne era difficile anche solo raggiungere un mezzo per venire in centro».
Molte delle persone seguite era richiedente asilo, di origine macedone o kosovara, fuggite dalle guerre dei Balcani degli anni ’90 e da quasi vent’anni in Italia. In questo contesto, Caritas ambrosiana ha offerto, dopo diversi anni di assistenza, percorsi di italiano e cucito. «Abbiamo scelto la sartoria – spiega Ignazi – perché ci consentiva di aprire uno spazio con un investimento ridotto. Avevamo pensato anche al catering, ma volevamo qualcosa che potesse rimanere alle donne anche senza troppi costi. Imparavano banalmente a riparare i vestiti anche solo per sé stesse. Una formazione che a loro sarebbe rimasta indipendentemente dal loro futuro. Tante infatti hanno cominciato a sfruttare questa competenza anche all’interno della loro comunità».
Tutto è cominciato con un gruppetto di 13 donne. Oggi Taivè ha aperto le porte anche a persone di altre origini. «Le donne – racconta Ignazi – possono arrivare dal carcere o avere un trascorso di maltrattamenti alle spalle». Tutte condizioni che portano una difficoltà di inserimento lavorativo, a cui si unisce la presenza di figli da mantenere.
Per la maggior parte di queste persone, Taivè è la prima effettiva esperienza professionale. Un’opportunità per familiarizzare anche con le regole del lavoro o anche solo essere puntuali. «L’idea – sottolinea Ignazi – era proprio di offrire un’esperienza di sostegno al reddito in un passaggio così impegnativo come dal campo alla casa, perché il campo purtroppo resta un luogo di assistenzialismo».
Il laboratorio ha costruito nel tempo un rapporto anche con il quartiere, come racconta Gabriella: «Qui si è creato un ambiente accogliente anche con la gente della zona. Capita che la signora Donata si fermi e si metta al servizio».
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