La responsabilità che nasce dalla fede richiamata dall'Arcivescovo nella riflessione durante il momento di preghiera e digiuno tenuto nel primo venerdì di Quaresima
di Annamaria
BRACCINI
«Noi siamo di quelli che non ritengono di non contare, di non valere niente, di essere un frammento di niente in un universo insignificante, perché crediamo in Dio. Noi siamo di quelli che non si rassegnano, che non ritengono che il cuore umano, nemmeno quello dei criminali e dei cattivi, sia di pietra e non possa cambiare. Noi abbiamo una risorsa inesauribile di fiducia, perché crediamo in Dio e non diciamo, di fronte ai problemi enormi dell’umanità, “che cosa possiamo farci”. Noi siamo di quelli che non hanno paura di assumere la responsabilità che ci compete, anche se ci espone all’impopolarità, anche di fronte alla minaccia, e non pensiamo che la minaccia di morte sia la più terribile, perché crediamo in Dio e consideriamo la storia dei martiri. Perciò teniamo fisso lo sguardo su Gesù, che la croce ci ricorda, perché Gesù è la verità di Dio. Del Dio in cui crediamo, che ci indica la via attraverso la quale si può dire una parola di salvezza efficace per tutta l’umanità. Per questo siamo qui, per questo gesto che non riteniamo inutile, solo simbolico, ma che è il nostro modo di dire, di fronte a tutte le guerre, che crediamo in Dio e perciò preghiamo per la pace».
Direttamente dal lavoro
Si apre così, con queste parole – a tratti commosse – dell’Arcivescovo, il momento di preghiera e riflessione «Davanti alla croce preghiamo per la pace e digiuniamo» che, per un’ora nella pausa pranzo del primo venerdì di Quaresima, riunisce in Duomo qualche centinaio di persone di tutte le età. Che, appunto – entrando, magari, di corsa in Cattedrale provenendo chiaramente dal lavoro -, scelgono di osservare il digiuno e di porsi, spesso a lungo in ginocchio, davanti all’altare maggiore del Duomo coperto da un drappo (come accade in tutti i venerdì di Quaresima) e su cui è esposta, per l’occasione, una reliquia della Santa Croce. Accanto all’Arcivescovo, che rimane in ginocchio per l’intera durata della preghiera, nelle prime file ci sono il Vicario generale monsignor Franco Agnesi e molti altri sacerdoti, tra cui alcuni membri del Cem e alcuni Canonici del Capitolo metropolitano.
Per tre volte si recitano i diversi versetti del Salmo 21, si ascoltano brani dell’Arcivescovo e di papa Francesco, ispirati alla pace e letti dal penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor Fausto Gliardi e si fa silenzio orante, pensando a ciò che è appena risuonato tra le navate.
Pace e giustizia
Come ciò che ha scritto l’Arcivescovo, che alla pace dedica anche i suoi brevi pensieri del Kyrie quaresimale (vedi qui), e che ha chiesto di sottoscrivere l’appello lanciato per chiedere che cessi la guerra, ogni guerra (leggi qui). «Noi vogliamo la pace. I popoli vogliono la pace. I poveri vogliono la pace. I cristiani vogliono la pace. I fedeli di ogni religione vogliono la pace. E la pace non c’è. E coloro che decidono le sorti dei popoli decidono la guerra, causano la guerra. E dopo averla causata non sanno più come fare per porre fine alla guerra. Non possono dichiararsi sconfitti. Non possono vincere annientando gli altri. In queste vie senza uscita che tormentano tanti Paesi del mondo, umiliano la giustizia e distruggono in molti modi le civiltà, le famiglie, le persone e gli ambienti, che cosa possiamo fare? Dichiariamo la nostra impotenza, ma non possiamo lasciarci convincere alla rassegnazione. Noi crediamo che Dio è Padre di tutti, come Gesù ci ha rivelato. Crediamo che Dio manda il suo Santo Spirito per seminare nei cuori e nelle menti di tutti, compresi i potenti della terra, pensieri e sentimenti di pace e il desiderio struggente della giustizia».
Infine, la recita corale della preghiera composta sempre dall’Arcivescovo per invocare la pace e il canto, concludono un’ora vissuta intensamente a livello personale – lo si vede dai volti delle persone che lasciano a piccoli gruppi la Cattedrale o vi rimangono ancora in silenzio – e come comunità.
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