Scenari attuali e prospettive future nella serata che al Piccolo Teatro Studio Melato ha concluso il secondo ciclo con gli interventi di Severino Salvemini, Alberto Martinelli, Marina Salamon, Riccardo Bonacina e del cardinale Angelo Scola  

di Annamaria BRACCINI

L’economia-ci-cura

Lo smarrimento dell’attuale ordine economico, la diseguaglianza sociale che si è allargata, gli investimenti e gli stipendi che ristagnano e le imprese che rimangono piccole. Per questo occorre impostare nuovi orizzonti economici e politici. Che la situazione economica del Paese e degli italiani non attraversi un bel periodo (un “momento” che dura, peraltro, da quasi dieci anni) è evidente e, forse, non ci sarebbe stato bisogno di un incontro per dirlo, ma per spiegare i motivi della condizione in atto, immaginare prospettive future e raccontare che qualcosa di positivo comunque c’è, sì. Questo il senso del terzo e ultimo appuntamento della stagione 2016-2017 dei «Dialoghi di Vita Buona», nel quale si è riflettuto su «L’economia ci cura?». A confrontarsi, nello stile ormai collaudato dell’iniziativa, diverse voci di esperti e testimonianze, accompagnate da musica e brani teatrali e cinematografici, in un Piccolo Teatro Studio Melato affollatissimo.

Capitalismo e nuovo modello economico

Si parte dall’introduzione del docente di Organizzazione aziendale della Bocconi Severino Salvemini (vedi l’intervento), che dice: «Il capitalismo dell’ultimo trentennio ha largamente fallito e noi economisti dovremmo impegnarci in nuove prove di verità, ma questo è anche un momento magico per un’impresa che rincorra un modello di sostenibilità». La domanda è se esista un post-capitalismo: «Sì, ma occorre metterci mano robustamente, a fronte di un welfare aziendale declinante, di minori pensioni a fine carriera, di un liberismo anti-statalista. È necessario, come diceva Adriano Olivetti, “un risarcimento”, e che i portatori di interesse (ossia tutti i soggetti interessati all’impresa, compresi i lavoratori) diventino politicamente più attivi, un modello economico di convivenza civile che sembra perduto, una performance della sostenibilità in aggiunta a quella finanziaria». Insomma, ci vorrebbe più capitalismo dei partecipanti e meno dei capitalisti, arrivando alla consapevolezza «che sono i bisogni della società, e non quelli del mercato, a definire la società stessa».

Il ruolo fondamentale della politica

In questo orizzonte di riferimento è ovvio il ruolo della politica, oggi più in crisi della stessa economia. Ad affrontare la questione è Alberto Martinelli (vedi l’intervento), politologo dell’Università degli Studi di Milano: «Siamo sulla scena di Sei personaggi in cerca di autore di Pirandello (il riferimento è al suggestivo allestimento dello Studio Melato, ndr) e anche noi lo siamo un poco. Parlando di cura è inevitabile parlare di politica e domandarsi se siamo soddisfatti della nostra democrazia, in un Paese in cui i politici sono sempre meno legittimati, i partiti ricorrono a eccessiva personalizzazione, l’arte del negoziato non esiste più». Che fare, allora, tra banalità anti-casta, dilettantismi, scontri permanenti interni «a una democrazia usata per delegittimare e denigrare» nella quale «tutti crediamo di sapere tutto, con esiti catastrofici quando ci sono di mezzo questioni cruciali come i vaccini?».

«Come coltivare la speranza di ripensare il ruolo della politica e dei corpi intermedi, contrastando il populismo con i nuovi attori di una democrazia rappresentativa dove gli eletti devono prendersi cura dei cittadini con onestà, competenza e impegno?». Chiara la risposta di Martinelli: «Non individuando sempre capri espiatori – l’Unione Europea o gli immigrati -, ma accompagnando “il diritto di avere dei diritti”, come diceva Hannah Arendt, alla coscienza di avere dei doveri e responsabilità nei confronti degli altri, facendo ciascuno la propria parte fino in fondo».

Prendersi cura e coerenza

Dal valore dell’espressione I care (che significa insieme, «ho cura» e «mi prendo cura di») si avvia la testimonianza “sul campo” dell’imprenditrice Marina Salamon (vedi l’intervento), quattro figli e uno in affido ormai grandi («nessuno di loro vuole fare il capitalista»). «Credo nel valore della parola I care che è il contrario del “me ne frego”. Mi chiedo dove sia finito il capitalismo familiare che si prendeva cura delle famiglie dei lavoratori. Tra Lombardia e Veneto, dove lavoro, credo che molte aziende ancora saranno costrette a chiudere. È colpa della crisi, ma, in parallelo, anche del cambio radicale delle condizioni di lavoro con la globalizzazione e la digitalizzazione. Siamo solo l’inizio e il nostro Paese, specie al Sud, è fragile anche per il gelo demografico, eppure continuo a credere nell’I care. Solo l’assoluta coerenza nel lavorare, ci rende degni e rispettabili. Solo così sapremmo costruire valore nel tempo. Il vero prodotto interno lordo è la nostra identità di persone prima che di imprenditori, il vero potere è servizio. Possiamo essere persone infelici, anche se detentori di potere, o scegliere di lavorare per progetti, magari quando potremo permettercelo», conclude Salamon, mentre alle sue spalle scorrono frasi e pensieri particolarmente belli e che obbligano a pensare, come le parole di un imprenditore dalle solide radici cristiane quale Alberto Falck, «l’onestà è questione di intelligenza».

Il valore del volontariato e del no profit

C’è un ambito in cui certamente l’economia ci cura (senza punto interrogativo), ed è quello del volontariato, del terzo settore, la cui realtà Riccardo Bonacina (vedi l’intervento), direttore del mensile Vita, presenta attraverso dati impressionanti. «Il no -profit conta più di 300 mila imprese, registrando una crescita del 28% dal 2001 a 2011 e alimentando una partecipazione di 4,7 milioni di volontari, cui si aggiungono 2 milioni che agiscono con forme spontanee. Con 800 mila occupati, il settore non profit in questi dieci anni è quello che ha creato più lavoro nel Paese. Sette milioni sono gli italiani che usufruiscono dei suoi servizi, 700 milioni le ore di lavoro offerte per un volontariato che vale, si è calcolato, 67 miliardi di euro». Valore economico inclusivo, quantitativo, ma non solo.  «Esiste un valore qualitativo oltre che quantitativo, perché crea coesione sociale e fiducia, senza il quale lo Stato si riduce a tecnocrazia. Goethe diceva che “chi non ricorda il bene non può sperare”: il volontariato fa questo, semina esperienze di bene».

L’intervento dell’Arcivescovo

Poi è la volta dell’atteso intervento del cardinale Angelo Scola (vedi l’intervento), dal titolo “Il dono e il gratuito nell’economia”. «L’incomprensibilità di certi processi economici ha giocato un ruolo sicuramente cruciale nella crisi. Oggi l’economia ha bisogno di essere riportata quanto prima a un discorso culturale compiuto, per capire con che cosa si ha a che fare quando si parla di economia». Il nodo finora irrisolto, oltre alla ridistribuzione delle risorse, indicato già da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate è quello di ampliare la pura dimensione economica associando il concetto di gratuità e dono: «Essa non può, infatti, prescindere dal porsi la questione del senso e occorre che si situi in questo contesto».

Torna l’interrogativo se l’economia ci cura o ci ammala. Due i dati, evidenziati dall’Arcivescovo, come fonte di “malattia”: «Il dominio della tecnocrazia che è divenuto dispotico e manipolatorio e una concezione dello scambio che riduce il cittadino all’homo oeconomicus, come se l’obiettivo della ricchezza fosse un bene da perseguire comunque quanto prima. È davvero urgente che chi vi opera e ne fruisce, sappia che la finanza è un patto comunitario potente e delicato, che serve realmente lo sviluppo solo se crea relazioni stabili e solide nel tempo». Come a dire, l’anonimato e la spersonalizzazione, il “respiro breve” non pagano, anche perché, come si dice sempre nell’enciclica, «senza la carità non si riesce nemmeno a fare giustizia».

Da qui il valore fondante del dono, che precede l’umana esperienza personale e comunitaria, «partendo dal dato innegabile che la vita la riceviamo. Il dono matura la personalità, rende possibile convivenza buona, fa fiorire la comunità, è generativa anche in capo economico, muove progettualità. La gratuità dà un contributo perché il mondo economico non sia autoreferenziale e si astragga in modo dannoso».

Si tratta, cioè, si riformulare in radice, il modo di avere relazioni con sé, con gli altri, con il creato, secondo quanto afferma papa Francesco nella Laudato si’. La strada per generare economia integrata è sviluppare un’integrale economia della persona: «Occorre partire da un’attenzione reale alla persona, al soggetto dello sviluppo. Se il soggetto non sta in primo piano, qualsiasi scoperta alla fine diventa autoreferenziale. L’economia è gestire al meglio le risorse affinché tutti abbiano uno stile di vita conforme ai propri bisogni senza far prevalere i propri fini su quelli della collettività».

Il dibattito

Si riparte con il dibattito tra i relatori moderato dal caporedattore e responsabile del web de Il Sole24 Ore, Daniele Bellasio, dalla coerenza e dall’umiltà.

Per Salamon, «molti, a partire da me, hanno il rischio dell’arroganza, anche nei confronti della politica, soprattutto se le cose vanno bene, ma è meglio che impariamo l’umiltà: pure se a Milano ci sentiamo i più bravi, siamo veramente piccoli rispetto al mondo».

Salvemini osserva: «Alcune imprese hanno capito che dopo la crisi non avrebbero potuto ripartire come prima e stanno andando bene, altre sono ancora nel tunnel, perché non hanno compreso che il modello capitalistico del secolo scorso va ritoccato. Questa è colpa anche degli economisti».

Bonacina sottolinea il concetto di fiducia: «Il Terzo settore dovrebbe sottolineare di più il suo ruolo di produttore di fiducia, perché creare condizioni di fiducia è fondamentale, vivere con le armi in casa e le telecamere non è certo bello».

Infine, Martinelli: «C’è una responsabilità della politica in difficoltà di rappresentanza. La crisi non è della democrazia, ma in essa. Non vedo attualmente un rischio di derive autoritarie o totalitarie, ma ci sono, al suo interno, patologie evidenti. Mi pare che un elemento di speranza venga dalla costruzione in ambito europeo di un progetto davvero federale».

«L’azione esprime l’uomo, porta la sua impronta e chiama immediatamente alla relazione», scandisce il Cardinale che richiama la vicenda dei licenziamenti alla K-Flex, i cui lavoratori ha incontrato alla recente Veglia di preghiera per il Lavoro: trecento famiglie sulla strada, perché l’azienda delocalizza in Polonia: «Abbiamo perso il senso della relazione», per questo accadono vicende simili.

C’è tempo anche per un breve bilancio dei «Dialoghi», al termine del biennio che ha visto 6 incontri: «La cosa più impressionante è stata la semplicità con cui tutti coloro che abbiamo chiamato hanno aderito e la serietà. L’esito più bello è che, in una società plurale come la nostra, personalità dalle visioni diverse sono state capaci di comunicare e di intendersi. È una via da percorrere, un piccolissimo germe, ma molto significativo, che documenta la possibilità di un’unità costruttiva. Non abbiamo mai scansato le questioni decisive del senso della vita: l’io nel complesso delle sue relazioni, la memoria, il futuro».

La musica di tre splendide canzoni di Davide Van de Sfroos conclude tra gli applausi convinti, la serata, animata anche dalla lettura teatrale di Lucia Marinsalta. Ma già si pensa ai nuovi «Dialoghi», per i quali il Comitato scientifico si riunirà già questa settimana. Appuntamento in autunno.

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