A due anni dall'omicidio in Congo, l'ambasciatore è stato ricordato nella sua città natale con una Messa presieduta dall'Arcivescovo: «Figlio di questa terra, si è fatto dono per terre lontane»
di Annamaria
BRACCINI
«Siamo qui radunati per pregare, per ricordare con affetto e ammirazione un figlio di questa terra che si è fatto dono per terre lontane e possiamo dire che Luca Attanasio si iscrive tra gli amici del bene, gli amici di Dio».
Nella parrocchia di San Giorgio a Limbiate, dove si fatica quasi a entrare per il gran numero di persone presenti, l’Arcivescovo dice così –nella celebrazione eucaristica di suffragio a due anni esatti dalla morte – ricordando l’ambasciatore barbaramente ucciso nell’attentato avvenuto nella Repubblica democratica del Congo, che costò la vita anche al carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci e all’autista Mustapha Milambo.
La città natale di Attanasio, che per tutta la giornata ha reso onore a questo servitore dello Stato, animato da una generosità e da uno spirito di giustizia indimenticabili, si ritrova nella parrocchia centrale per la Messa, concelebrata dal parroco don Valerio Brambilla e da oltre una decina di sacerdoti del Decanato oppure originari di Limbiate. In prima fila la famiglia Attanasio, il sindaco Antonio Romeo, le autorità civili e militari.
Il pensiero di uno degli “Amici di Luca” – l’associazione che ne porta avanti le iniziative e gli ideali – apre la preghiera: «Non era certo un eroe ma ebbe il coraggio di buttarsi per primo», viene scandito dall’ambone. Parole cui risponde l’Arcivescovo che dà voce ai sentimenti dei fedeli, parlando di «commozione e ammirazione per essere stati con lui, di inquietudine e rabbia per come è stato separato dai suoi affetti. Traiamo, dalla sua eredità, il desiderio di migliorare il mondo e di diventare noi migliori».
Lottare per estirpare il male
A quelli che vengono definiti «gli amici del bene», si ispira l’intera omelia. «Gli amici del bene sono uomini e donne che amano la vita, perché è buona: non possono immaginare di sciuparla, di vivere di banalità o di lamenti. Amano la vita, sanno che è un dono, sono contenti se possono generare bambini per la loro gioia e per il futuro del mondo; si impegnano in ogni modo per rendere buona e desiderabile la vita per sé e per tutti. Gli amici del bene fanno il bene che possono non perché sia doveroso, non per eseguire ordini, non per cercare l’ammirazione o l’approvazione di altri, ma perché lo desiderano e vi trovano gioia».
Persone, queste, che appartengono a «ogni cultura, lingua, nazionalità, a ogni età e livello sociale, religione e Paese della terra», ma che «quando si incontrano si riconoscono subito, anche se non si sono mai visti, perché hanno in comune di essere amici del bene».
Coloro che «sono sconcertati di fronte allo spettacolo desolante di uomini e donne che si comportano con cattiveria, che non riescono a capire come si possa essere crudeli, che provano orrore di fronte a chi fa soffrire gli innocenti. Perciò sono disposti a lottare e a soffrire per estirpare il male, per sradicare dal cuore umano la cattiveria. Alcuni pensano che siano piuttosto ingenui, ma non è vero: sono amici del bene disposti a impegnarsi sempre perché il bene contrasti il male».
Uomini e donne tenaci, sorridenti, sinceri che «rispondono, anzitutto, alla propria coscienza: «Non sono creduloni e spesso smascherano l’inganno e affermano la verità, non senza pagare di persona. Gli amici del bene sono uomini e donne di fede. Credono in Dio e nell’umanità: vi riconoscono l’immagine di Dio e la vocazione a partecipare alla vita di Dio. Pregano perché sono convinti che senza l’aiuto di Dio non possono fare niente e con l’aiuto di Dio anche il poco che fanno può produrre molto frutto»
Insomma, tutti «quelli che tengono in piedi il mondo e che sono dappertutto», anche in Paesi tribolati, come appunto la Repubblica del Congo, dove Attanasio era ambasciatore d’Italia e dalla cui capitale Kinshasa la moglie Zakia invia un messaggio, letto in conclusione dal parroco che auspica, da parte sua, che i ragazzi di Libiate imparino «dall’esempio e dalla testimonianza di Luca ad avere il coraggio di spendere la propria vita per gli altri essendo cittadini del mondo».
Il messaggio della moglie Zakia
«Quando penso alla distanza – scrive la mamma delle tre bimbe di Attanasio -, è possibile essere vicini se i cuori lo sono, se condividiamo gli stessi ideali. Oggi celebro la memoria di mio marito da Kinshasa, luogo dove abbiamo costruito un ponte, dove l’incontro con gli ultimi diventa possibilità di rinascita. Anche oggi ho attraversato questo ponte per unirmi a voi di Limbiate, per celebrare il ricordo che diventa vita. Grazie perché siete parte di noi, grazie perché la vostra terra preserva il suo corpo, il suo spirito, il suo cuore».
Le celebrazioni per l’anniversario
La Messa per il secondo anniversario dell’attentato ha concluso la giornata organizzata dal Comune di Limbiate con la parrocchia di San Giorgio e l’associazione “Amici di Luca”. In mattinata un incontro per gli studenti e la marcia “Per non dimenticare”, arrivata a Villa Rasini-Medolago, ora “Villa Attanasio”, dove è stata scoperta la targa che intitola all’ambasciatore l’edificio nel quale troveranno spazio una biblioteca e uno spazio per i giovani.
Continua, inoltre, l’attività della Fondazione “Mama Sofia”, voluta da Luca e Zakia, che ha istituito (con patrocinio dei Ministeri degli Esteri, dell’Istruzione e dell’Università italiani) 43 borse di studio destinate a giovani di 12 diversi Paesi.
Nel ricordo delle tre vittime – con un cordoglio espresso anche dal presidente del Consiglio e dal presidente di Regione Lombardia nei rispettivi messaggi -, «prosegue l’impegno italiano in Africa per la promozione dei valori di solidarietà e convivenza pacifica tra i popoli», come ha scritto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
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