«La vostra è una testimonianza di gratuita dedizione»: così l’Arcivescovo presiedendo in Duomo la celebrazione per la XXVII Giornata mondiale
di Annamaria
Braccini
I consacrati e le consacrate sono un messaggio di libertà, di leggerezza e di primavera: uomini e donne che vivono di niente, rasserenati dalla grazia perché dimorano in Dio. Nella XXVII Giornata mondiale della Vita consacrata, che ricorre nella Festa liturgica della Presentazione del Signore al Tempio – in Oriente significativamente detta «Festa dell’incontro» -, la celebrazione presieduta dall’Arcivescovo in Duomo è l’occasione per un ritrovarsi gioioso dei tanti che, in Diocesi, vivono le diverse forme di consacrazione al Signore. Settanta i sacerdoti concelebranti, tra cui tre Vescovi – il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi, monsignor Angelo Mascheroni e monsignor Luca Raimondi – e i Canonici del Capitolo metropolitano della Cattedrale.
Dopo la processione con l’icona della Madonna dell’Idea, che muove dall’altare della Madonna dell’Albero, tra le candele e le fiammelle accese portate tra le mani dai concelebranti e dai rappresentanti di diversi Ordini, Congregazioni e Istituti, a prendere la parola è monsignor Walter Magni, neo Vicario episcopale di settore. È lui che, porgendo il saluto iniziale, esprime gratitudine per i suoi predecessori, monsignor Paolo Martinelli, attualmente Vicario apostolico per l’Arabia meridionale, e monsignor Luigi Stucchi, per molti anni Vicario per la Vita consacrata femminile, scomparso lo scorso 20 dicembre.
Il saluto del Vicario
«Se qualche apprensione ci prende, constatando la perdurante carenza di vocazioni in tanti Istituti maschili e femminili, si resta stupiti davanti al numero crescente di sorelle e fratelli che provengono da altri Paesi e culture – spiega monsignor Magni in un ideale richiamo alla Chiesa dalle genti -. Molti di loro sono qui con noi questa sera con la freschezza e la gioia dei loro carismi e le vivaci e colorate tradizioni che rappresentano». «Si uniscono a noi le sorelle claustrali che, anche quest’anno, hanno voluto essere presenti offrendo un cero», aggiunge il Vicario che, avviando il proprio servizio nel mese di gennaio, ha voluto visitare proprio i monasteri di clausura.
«Sto constatando che la vita consacrata è ben disposta nei confronti del cammino di ascolto sinodale proposto dalla Chiesa italiana e sarà mio impegno invitare consacrati e consacrate a confrontarsi presto sul tema della Comunità pastorale e specificatamente delle diaconie, nelle quali molti di loro sono già presenti e operanti», la conclusione, espressa anche con una speciale riconoscenza verso l’Arcivescovo.
L’omelia
«Forse in altri tempi, forse in altri luoghi, la Vita consacrata ha vissuto momenti di grandezza, di splendore, ha creato opere imponenti, ha segnato le vicende di un Paese. Ci presentiamo come Maria e Giuseppe senza essere avviliti per essere poveri, senza sentirci umiliati se nessuno si accorge nel gran via vai del tempio, nel gran movimento della città», dice l’Arcivescovo. La cui intera omelia (leggi qui) si ispira alla pagina del Vangelo di Luca della presentazione di Gesù al tempio, in un rimando alla «coppia di tortore e ai due giovani colombi» che, secondo la prescrizione, dovevano essere offerti in sacrificio in quella circostanza: «Secondo la legge antica, il destino della coppia di tortore e dei due giovani colombi è di essere offerti in sacrificio, ma finalmente entra nel tempio del Signore colui che è il tempio del Signore, finalmente si offre in sacrificio colui che rivela la verità del sacrificio: Dio non vuole la morte, ma dona la vita. Così la coppia di tortore e dei giovani colombi non sono offerti per morire, ma per annunciare che è finito il tempo della legge che impone i sacrifici e inizia il tempo della grazia che offre la vita nuova. Abitano, dunque, il tempio del Signore le tortore e i colombi e sono le presenze della libertà, della leggerezza, della primavera».
Evidente la simbologia: «I consacrati al Signore sono uomini e donne di preghiera come tortore che annunciano la primavera. I colombi sono giovani perché promettono un futuro, la vita consacrata segnata dall’invecchiamento di molti uomini e donne non raccontano del loro tempo come di un inverno che congela la vita, ma come di un giovane amore che sospira l’incontro con l’amato».
E così «le persone che sono consacrate possono immaginare di essere, nella comunità cristiana, un messaggio di libertà, di leggerezza: uomini e donne che vivono di niente, una parola di letizia, una testimonianza di gratuita dedizione. Vivono la consacrazione non come un vincolo che chiude in una gabbia, ma come una liberazione perché si sono liberati dalla preoccupazione per la loro felicità, consegnata a Dio e perciò non se ne curano più, potendo dedicarsi al servizio della gioia degli altri in libertà e leggerezza».
«La predica della coppia di tortore e dei giovani colombi – termina l’omelia – parla dunque alla Chiesa della primavera, parla della stagione dell’amore, della leggerezza e della libertà di chi ha smesso l’amor proprio e la preoccupazione per sé stesso, parla del dimorare in Dio, nella comunione con Gesù».
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