Nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano, monsignor Mario Delpini ha raccontato cosa sia per lui - uomo, sacerdote e Vescovo -, la preghiera, in un contesto definito «di confidenza e familiarità».
di Annamaria
BRACCINI
«Prego come mi ha insegnato la Chiesa, come qualcuno che sperimenta l’amicizia di Gesù, come chi che deve portare i problemi di tanti e, dal Signore, riceve una parola da dire a tanti». A raccontare cosa sia per lui – uomo, sacerdote e Vescovo -, la preghiera, in un contesto definito «di confidenza e familiarità» del quale si dice «molto contento», è l’Arcivescovo che, nella basilica di Sant’Ambrogio, presiede la celebrazione della Compieta di mercoledì 18 gennaio (leggi qui l’intervento dell’Arcivescovo).
«Il vescovo Mario ci ha indicato, nella sua Proposta pastorale, come imparare e insegnare a pregare», dice, nel saluto di apertura, l’abate monsignor Carlo Faccendini, delineando le ragioni di un invito venuto dalla parrocchia impegnata, in questi mesi, in catechesi e cammini formativi proprio sul tema della preghiera.
La preghiera che si impara in famiglia e da giovani
«La mia mamma, al mattino e alla sera, mi ricordava di pregare. Per lei faceva parte dell’essere madre invitarci a pregare. Anche mio papà me lo ha insegnato perché mi ha sempre impressionato quando, dopo la Messa della domenica, si fermava in ginocchio in chiesa a pregare o, a sera, diceva il Rosario. Da ragazzo mi hanno insegnato che la preghiera fa parte della vita e non se ne può fare a meno».«Poi, da prete, ho vissuto la preghiera anche attraverso la celebrazione e le parole della Chiesa», aggiunge l’Arcivescovo che, evidenziando il senso dei Salmi appena proclamati, osserva. «A volte si rischia di leggere testi bellissimi come una sorta di esercizio vocale e di non chiedersi cosa significhino nella loro intensità e bellezza. Io cerco di immedesimarmi in chi ha composto questi Salmi, per andare in profondità nella ricerca e nell’amicizia con il Signore». Come quando giovane seminarista – ricorda – la notte, nel silenzio, «uscivamo per andare a pregare all’aperto».
La preghiera del Vescovo
E adesso? «Oggi, è tipico del mio essere Vescovo, chiedermi cosa posso fare per le aspettative della gente perché sono consapevole della mia inadeguatezza. Mi chiedo che cosa ho da dare e da dire e mi rispondo che non posso dare niente, non posso fare niente per risolvere veramente qualche problema. Però posso celebrare l’Eucaristia, dare Gesù. Per me la preghiera più importante è celebrare l’Eucaristia perché voi non avete bisogno del Vescovo, ma di Gesù», dice rivolto direttamente all’assemblea che lo ascolta.
Il richiamo è alle espressioni fondamentali, sottolinea ancora l’Arcivescovo, del capitolo 15 del Vangelo di Giovanni: “Vi ho chiamato amici, rimanete in me, la mia gioia sia in voi”.
L’amicizia con Gesù
«Amicizia vuole dire la gratuità di un rapporto che sorprende. A volte si dice che il Vescovo è un successore degli Apostoli, io vorrei esserlo di Simone il Cananeo, lo Zelota, che non dice neanche una parola e del quale non si ricorda nessuna impresa. Gesù però lo ha chiamato perché era suo amico. Così Gesù ha chiamato anche me perché l’amicizia con lui mi ha aiutato a vivere il mio essere cristiano, non come un dovere o una teologia da studiare, ma con l’intensità del desiderio, della gioia dello stare insieme, dell’incontro. L’amicizia con Gesù è una via di rivelazione che conduce alla verità per le strade di una confidenza che fa crescere. Il Vangelo non è una pagina da leggere, ma la confidenza di un amico: la Bibbia è una lettera d’amore di Dio all’umanità». Un’amicizia che, così intesa, è anche via della conoscenza e della conformazione, «di quella sequela che rende migliori perché cerca di praticare lo stile di Gesù, nel vedere le persone, la vita e la storia come le vede lui».
Il Rosario, preghiera di intercessione
Il pensiero del vescovo Mario, infine, torna al suo essere Pastore e guida di una grande comunità, come è la Diocesi, fatta di donne e uomini incontrati nelle celebrazioni eucaristiche, nella Visita pastorale, nelle tante e diverse occasioni di dialogo. «Il Vescovo raccoglie confidenze, poche parole che durano quanto una stretta di mano. Spesso sono invocazioni perché la vita è troppo dura, le vicende della famiglia, della salute, del lavoro sono troppo complicate e troppo tristi», spiega. «Magari dimentico i volti, ma tornando a casa accompagnato da queste richieste, prego avendo preso l’abitudine di dire il Rosario. La quinta decina la dedico sempre a tutti quelli che mi hanno chiesto di pregare per loro, così mi sembra di rispondere al desiderio che ci sia qualcuno che preghi. Come Vescovo devo farmi carico delle persone che incontro, per me è una responsabilità ricevere una richiesta di preghiera».Il riferimento, per comprendere questo tipo di preghiera, è ancora a un episodio evangelico. «Credo che la scena di Cana con Maria che dice ai servitori di fare qualsiasi cosa Gesù dirà, sia molto interessante. Infatti, la preghiera di intercessione non è semplicemente dire che non c’è più vino, come fosse una delega. La preghiera di intercessione è preghiera di discernimento, perché così confido al Signore i tanti bisogni e lui dona lo Spirito santo, ossia aiuta a essere una presenza che rende possibile la vita cristiana in ogni situazione, trasformandola in occasione, aiutandoci a vivere da cristiani e da discepoli».«La preghiera di intercessione, la preghiera del Rosario, la preghiera universale durante la Messa, la preghiera per i defunti non sono una delega a Gesù, ma un modo per disporsi a fare qualsiasi cosa egli dirà».
Leggi anche:
L’Arcivescovo spiega come prega