È il messaggio di Casa della carità e Centro Ambrosiano di Solidarietà. Delle 84 famiglie rom accolte dai due enti nel “Villaggio solidale” dal 2005, quasi l’80% oggi risiede in appartamento. Don Colmegna: «Affinché i percorsi di autonomia e inclusione sociale siano reali e positivi, anche le istituzioni devono fare la loro parte»
«Superare i campi rom e costruire percorsi di autonomia abitativa e inclusione sociale è possibile. Lo dimostra il lavoro che da anni portiamo avanti come Casa della carità e Centro Ambrosiano di Solidarietà»: a sostenerlo, in occasione della Giornata Internazionale dei Rom e Sinti che si celebra sabato 8 aprile, è don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità e consigliere di direzione del CeAS.
«Ma affinché questi percorsi siano reali e positivi come l’esperienza del superamento di via Triboniano, anche le istituzioni devono fare la loro parte», aggiunge don Colmegna. Il riferimento è alla chiusura del campo rom regolare di via Idro, avvenuta nel febbraio 2016. In quell’occasione, il Comune di Milano si impegnò con le famiglie promettendo che lo sgombero del campo sarebbe stato equiparato allo sfratto in termini di punteggio per l’assegnazione della casa popolare, ma quella promessa non è stata mantenuta. «È un fatto grave, che genera sfiducia nella possibilità per le famiglie sgomberate di accedere a quella soluzione abitativa stabile e definitiva che era stata loro prospettata», dice ancora don Colmegna. Cinque delle famiglie di via Idro sono tuttora ospiti del progetto “Villaggio solidale” al Parco Lambro, dove Casa della carità e CeAS operano dal 2005.
In 12 anni, tra i due enti, sono stati accolti 84 nuclei familiari rom, a seguito di sgomberi di campi o in situazione di emergenza. Di questi, l’8% è attualmente ospite del “Villaggio solidale” e il 6% è sistemato in altre strutture di accoglienza, ma la stragrande maggioranza, il 79%, risiede in appartamento a seguito del buon esito del progetto di integrazione. Si tratta di famiglie che abitano per lo più in affitto (52%), ma qualcuna ha anche acquistato casa (8%). Altre ancora sono andate a vivere in appartamenti nel loro paese d’origine, la Romania (11%), o in altri stati europei (3%). Solo 6 famiglie sono ritornate a vivere in un campo.
«Uno dei capisaldi del lavoro sociale che viene portato avanti dal progetto del “Villaggio solidale” è l’impegno per l’istruzione dei minori», spiega Donatella De Vito, responsabile del progetto per i due enti. Sono 170 quelli complessivamente presi in carico dal progetto, nella maggior parte dei casi molto piccoli. L’86% di loro ha intrapreso un percorso di scolarizzazione. In termini assoluti, ben 25 hanno conseguito il diploma di scuola superiore e 41 hanno portato a termine la licenza media. Altri 80 sono stati inseriti alla scuola dell’infanzia o alla scuola primaria.
«L’altra colonna portante del lavoro di integrazione del progetto Villaggio solidale – prosegue De Vito – è l’emancipazione della figura femminile». In questo senso, i risultati più significativi sono stati i 40 contratti di lavoro raggiunti e i 133 progetti di formazione e inserimento lavorativo realizzati. Un ultimo confortante dato riguarda le 19 donne uscite dall’analfabetismo. «Ed è proprio pensando a belle storie come le loro – conclude l’operatrice – che vivremo la giornata dell’8 aprile al Villaggio Solidale».