Don Alberto Frigerio, sacerdote, medico e docente, ne ha riflettuto in due incontri promossi dalla Fom: «Tra i giovani il tema dell’identità di genere è piuttosto critico. La Chiesa ne argomenti con ragionevolezza ed edifichi luoghi di amicizia come l’oratorio»
di Annamaria
Braccini
«La questione gender si fa sempre più incalzante, motivo per cui è opportuno che la Chiesa e i fedeli, tanto più se preposti al servizio educativo, maturino uno sguardo accorto e sapiente sul tema». Come quello che don Alberto Frigerio, sacerdote ambrosiano, medico e docente di Bioetica presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano, ha offerto in due diversi e recentissimi appuntamenti di riflessione, promossi dalla Fom e dedicati agli educatori.
Come la questione dell’identità di genere impatta oggi sul mondo giovanile?
Come traspare dalla formula di recente conio, gender fluidity, vi è chi, specie tra i giovani, riferisce un’identità di genere che varia nel tempo, identificandosi di volta in volta con l’uomo, la donna, entrambi o nessuno. In questo senso, tra le nuove generazioni, il tema dell’identità di genere risulta piuttosto critico. Tale elemento va posto nella cornice di quello che Zygmunt Bauman ha chiamato «liquefazione dell’identità», dovuta, tra le altre cose, ai profondi mutamenti delle coordinate storico-culturali in cui l’identità personale matura. Si pensi alla globalizzazione, che comporta mescolanza etnica, culturale e religiosa e che, pur dischiudendo l’opportunità di un reciproco arricchimento è anche motivo di sradicamento, disappartenenza, spaesamento ed estraneità; oppure si pensi alla crisi familiare, correlata a solitudine e difficoltà di socializzazione, che minano i meccanismi di identificazione primari e ostacolano la comprensione di sé.
È quindi necessaria una specifica formazione degli educatori?
È auspicabile favorire momenti di formazione e dialogo, affinché, anche in quest’ambito, i cristiani non siano arroganti, precipitosi e polemici, ma capaci di argomentare con ragionevolezza e chiarezza i propri convincimenti, come amava ripetere il cardinale John Henry Newman.
La pandemia ha reso più evidente e profondo il fenomeno?
Negli ultimi anni la questione gender ha subito una rapida accelerata, ascrivibile anzitutto alla promozione, da parte dei mezzi di comunicazione, di modelli sessuali fluidi, che condizionano lo sviluppo identitario, specie nel transito dall’infanzia all’adolescenza, in cui la sessualità invade il soggetto e pone interrogativi su di sé e sul modo di vivere le relazioni. Il che – va precisato -, non ha niente a che vedere con la giusta condanna di ciò che dovesse ledere la dignità personale a causa dell’attitudine sessuale. Tra i motivi della promozione di modelli gender fluid, c’è il diffondersi della mentalità capitalista, che riduce tutto a merce di scambio, anche la persona. Certo, tutto questo è deflagrato con l’esplosione della pandemia da Covid-19, a motivo del fatto che ha impedito o, comunque, complicato i rapporti entro cui l’identità si struttura, anche sotto il profilo sessuale, favorendo al contempo la frequentazione dei mezzi di comunicazione con ciò che questo comporta in riferimento ai modelli da essi veicolati.
Quali sono i punti cardine per affrontare in modo corretto tale contesto?
Come ha messo in luce la filosofia comunitarista, la persona accede alla verità del bene tramite pratiche di vita buona. In tal senso, il punto cardine per affrontare la questione gender è edificare luoghi di amicizia ecclesiale come l’oratorio, in cui comunicare in parole e opere le ragioni del vivere, secondo lo stile di Cristo, che disse ai primi discepoli «venite e vedrete».