L’Arcivescovo ha presieduto, in Duomo, la Celebrazione in Coena Domini con il Rito della Lavanda dei Piedi
di Annamaria
Braccini
La Lavanda dei piedi, che ricorda il gesto di Gesù sugli Apostoli, compiuta su 12 uomini appartenenti, in pari numero, all’Associazione “Santa Marta” per l’accoglienza e alla “Comunità San Galdino” per il Servizio liturgico, entrambe articolazioni di fedeli laici che prestano la loro opera in Duomo, riconosciute dall’Arcivescovo. Ed è proprio lui a compiere il Rito della Lavanda, prima della Messa vespertina nella Cena del Signore, che prende avvio – concelebrata dal vicario generale, monsignor Franco Agnesi, dai vescovi ausiliari, monsignor Angelo Mascheroni e Paolo Martinelli e dai membri del Capitolo Metropolitano del Duomo – con la Cattedrale immersa nella penombra, e poi, tra le navate ormai rischiarate dalla luce.
Inizia il Triduo Pasquale, nella sera del Giovedì santo, a memoria dell’ultima Cena di Cristo, primo atto della sua Passione. E, allora, le parole del vescovo Mario non possono che essere quelle «intollerabili – come le definisce – che sono costate la vita a Gesù, che la gente del tempo non poteva sopportare, che hanno offeso e provocato i capi dei sacerdoti e i potenti e che hanno tramato la sua condanna».
Espressioni che, anche oggi, non vogliamo sentire dopo 2000 anni e «di fronte alle quali la gente del nostro tempo reagisce con fastidio, con sufficienza, sospetto e irritazione».
Sono le parole, non marginali, del Vangelo per cui «alcuni arrivano al punto da perseguitare chi le pronuncia e a mettere a tacerne il messaggero, con le buone o con le cattive. Per questo ci sono stati e ci sono tanti martiri. Molti si difendono con l’indifferenza, cercano di non ascoltarle, si allontanano da coloro che le pronunciano». Ma non valgono, qui, gli alibi. «Per questo può succedere che le chiese si svuotino, e si argomenta con pretesti, sulla mancanza di credibilità degli uomini di Chiesa, sulla scarsa cura per la liturgia, sulla contro testimonianza dei cristiani. Il fatto è che non si vogliono ascoltare le parole intollerabili».
Quelle chiamate da molti, «superate, arcaiche, giustamente cancellate dal vocabolario moderno. Dicono che chi parla così si rende ridicolo, diventa noioso, si espone al disprezzo. Forse per questo ci sono molti cristiani che parlano di tutto e si rendono simpatici, ma tacciono con astuzia le parole che li renderebbero impopolari».
«Ma io non posso tacere il messaggio che sono incaricato di portare a costo di rendermi noioso e impopolare, specialmente in questo momento dell’anno liturgico, non posso e non voglio tacere le parole essenziali». scandisce il vescovo Mario.
«Ciò che è intollerabile è la determinazione di Dio, di cui Gesù si è fatto mediatore, di fare alleanza con gli uomini, di stringere un patto che renda definitivo il rapporto di reciproca appartenenza». Un’alleanza è stata celebrata e poi contraddetta, ma a cui il Signore si ostina a restare fedele; che è stata disprezzata e snobbata, ma per la quale Dio ha mandato il Figlio.
«Molta gente trova intollerabile questa intenzione di Dio, questa insistenza e questa pazienza. Molta gente manifesta insofferenza: come si può pretendere di fare alleanza con Dio? Va bene qualche sacrificio, qualche penitenza, qualche fioretto, qualche festa comandata, qualche edificio maestoso da edificare alla gloria di Dio, ma una comunione di vita, una appartenenza totale è cosa esagerata: molta gente avverte il dono come un peso insostenibile», preferendo legami provvisori, mantenendosi libera di vivere di esperimenti, «di stabilire piccoli trattati convenienti, secondo i momenti e secondo le circostanze».
E noi che facciamo? «Troveremo intollerabile questo invito, scontato tanto da ritenerlo una banalità, o ci difenderemo con l’indifferenza che ci lascia imperturbabili di fronte a questa alleanza? Al contrario, noi siamo qui perché siamo quelli che si lasciano commuovere dalla sollecitudine, tenacia, pazienza, prontezza nel perdono, disponibilità a ricominciare sempre da capo che Dio manifesta proponendo la sua alleanza».
Alleati, dunque, interlocutori e collaboratori del Signore nell’edificare il bene.
Poi, i tanti gesti pieni di un profondo significato di fede, come nel Canto dopo il Vangelo, quando i Pueri Cantores della Cattedrale che dispongono intorno all’altare intonando una delle più note antifone della Liturgia ambrosiana o il portare, tra gli altri doni, un grande pane (offerto dai Panificatori Milanesi) con l’immagine del Duomo.
Infine, a conclusione della Celebrazione, è l’Eucaristia a essere portata in processione, all’altare della Riposizione, dove resterà fino alla Veglia Pasquale.