Nella notte santa, il Duomo affollato di migliaia di fedeli, ha fatto da splendida cornice alla Veglia e alla Celebrazione eucaristica presiedute, per la prima volta, dall’arcivescovo Delpini. «Aiutatemi ad annunciare che nessuno è orfano o abbandonato perché siamo diventati tutti figli di Dio nel Figlio Gesù»
di Annamaria
BRACCINI
La nascita del Signore che chiede la testimonianza di tutti perché, con Lui, viene la luce che vince le tenebre della città, i suoi falsi idoli, la paura.
Nella notte, in un Duomo gremito di migliaia di fedeli, l’Arcivescovo presiede la Messa di Natale, preceduta dalla Veglia di preghiera con la quale, attraverso i Salmi, la Lettura dal profeta Isaia e la tradizionale, ambrosianissima, “Esposizione del Vangelo secondo Luca” di sant’Ambrogio, si arriva, mentre scocca la mezzanotte, alla Celebrazione eucaristica.
Monsignor Delpini – concelebrano l’Eucaristia i Canonici del Capitolo metropolitano e alcuni membri del Consiglio Episcopale Milanese – tiene tra le mani la raffigurazione lignea del Dio Bambino deposto, poi, nella “culla”, posta ai piedi dell’altare maggiore della Cattedrale. Per l’occasione, la Croce processionale, il Pastorale e la Croce pettorale dell’Arcivescovo appartennero al predecessore, il beato Montini di cui è stata annunciata la Canonizzazione.
Insomma, tutto indica – come dice il canto eseguito dalla Cappella musicale – quella “luce che splenderà oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore” simboleggiata dalla nuova stella a led che brilla sospesa a circa a 20 metri di altezza sopra il Presbiterio. L’ascolto della Kalenda natalizia, delle Letture e dello splendido Prologo dal Vangelo di Giovanni, sono la via per comprendere il mistero della Notte santa, in cui risuonano semplici e chiare alcune parole che divengono un richiamo per tutti.
«Mi hanno detto che la mia città è un immenso orfanatrofio, attrezzato come un paese dei balocchi. Mi hanno detto che la mia gente va girovagando per la città», in strade che non servono «per andare da qualche parte, per portare a compimento una missione e per realizzare uno scopo, ma per un’esposizione di infinite vetrine di ogni ben di Dio che si possa vendere e comprare».
Eppure, è proprio in queste strade dell’agio metropolitano (e chiunque ne fa quotidianamente l’esperienza) «che ci sono cittadini che nessuno nota, anche se sono sotto gli occhi di tutti, e che non c’è nessun padre che rimanga sveglio la notte per loro».
«Mi hanno detto che ci sono piazze dove si accampano e si sciupano le migliori giovinezze della città, si considera un divertimento rovinarsi la salute, sia motivo di vanto esagerare fino a star male e si consideri un’impresa da raccontare farsi del male».
Il problema, ovviamente, non è solo della “meglio gioventù” – o sedicente tale –, ma anche, forse soprattutto, della generazioni dei padri «che non riescono a dire che questo non va bene».
Da qui la responsabilità che sente chi siede sulla Cattedra della Chiesa di Milano: «Io ho il dovere, la responsabilità, la gioia di proclamare alla città, la grazia di questo Natale: nessuno è orfano, nessuno è abbandonato, nessuno vive e muore come un essere insignificante apparso sulla scena del mondo. La condizione per non essere orfani, per non essere gente che non interessa a nessuno, è accogliere Gesù». Proprio perché il Natale del Figlio di Dio «manifesta che la nostra origine non è dal nulla, ma da Dio, e che la nostra destinazione ultima non è verso il nulla. Così la vita si rivela nella sua luminosa verità: è una vocazione a diventare figli di Dio nel Figlio Gesù e a partecipare alla sua gloria. La strada non è fatta per guardare i negozi del paese dei balocchi, ma per correre lieti verso la meta e gioire del cammino».
Annuncio – questo – per il quale è l’Arcivescovo stesso a chiedere l’aiuto di ognuno, in una città che pare smarrirsi nel buio e dove «tante luminarie sono come un artificio per farsi coraggio». «La gente è insidiata dalla paura che venga alla luce ciò di cui si vergogna, teme che si scopra il lato di sé che vuole nascondere, è oppressa da sensi di colpa, da complessi di inadeguatezza, dal soffrire come una umiliazione la propria fragilità. Mi hanno detto che la mia città preferisce le tenebre alla luce, preferisce le maschere alla verità, l’apparenza artificiosa alla semplicità, preferisce parlare di storie di progressi infiniti e di come il benessere sia alla portata di tutti. È per questo, forse, che sta scritto: “Veniva nel mondo la luce vera quella che illumina ogni uomo, eppure il mondo non lo ha riconosciuto”».
Ancora torna, nella speranza di monsignor Delpini, l’appello a non rassegarsi, lui per primo: «Io non mi rassegno, noi non ci rassegniamo alla preferenza per le tenebre. Siamo convocati per celebrare il mistero dell’irrompere della luce e accogliamo Gesù, vedendo, nella sua luce, la luce. Il diffondersi della sua gloria manifesta che le paure della mia gente non sono fondate, che la verità più profonda di noi stessi non è la desolazione del male commesso o la vergogna per la parte di noi stessi che non ci piace».
Ma come dire «la parola rassicurante: “fratello, sorella”? Una sola la via suggerita dal Vescovo: camminando insieme. «Ecco perché siamo convocati per riconoscerci figli, per essere inviati nelle strade del quotidiano, per avere l’umiltà e la semplicità di pregare. Per dire a ciascuno: camminiamo nel luce del Signore».
E, alla fine, l’augurio dell’Arcivescovo è «per un Natale lieto e di fraternità che vuole costruire buon vicinato». Augurio della Chiesa ambrosiana da portare anche a chi non si sente importante e a coloro che sono cercati da nessuno.