Il Cardinale ha invitato al pranzo del giorno dell’Epifania 8 senzatetto in rappresentanza di coloro che sono ospitati nelle strutture della Caritas Ambrosiana. «Vorremo poter lavorare, anche come volontari», hanno detto all’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

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Adama è giovane ed è arrivato dal Mali nel 2011, passando dalla Libia, vivendo la sua odissea tra campi profughi e di raccolta, ma – anche se con un velo di tristezza, quando parla della mamma morta nel suo Paese solo tre settimane fa – sorride comunque, vicino al suo amico Hamid. Un cinquantenne che, in Italia, vive invece da 25 anni avendo lasciato in Marocco, di cui è originario, una figlia ormai più che adolescente. Sono solo due storie, tra quelle, tutte diverse, eppure legate da difficoltà, privazioni, desiderio di riscatto e, qualche volta lieto fine, che possono raccontare gli 8 senzatetto che il cardinale Scola ha invitato alla sua tavola per il pranzo dell’Epifania. Uomini di età compresa tra i 25 e i 65 anni, di cui 3 stranieri (due di loro di fede musulmana, appunto Adama e Hamid) e 5 italiani. Solo una piccola rappresentanza di chi vive l’emergenza dei senza tetto, peraltro in crescita, come testimonia l’incremento del 20% di coloro che si sono rivolti ai Centri di ascolto Caritas per il problema casa. 
Alcuni di loro hanno appena preso parte al Pontificale presieduto dall’Arcivescovo in Duomo, tutti sono comunque emozionati e si guardano in giro un poco spaesati, in un clima, tuttavia, sereno e “caldo”. «Per me è un giorno di festa», dice un ospite, mentre si avvia verso l’appartamento di Scola: «Non avrei mai creduto di potere essere qui», aggiunge un altro mentre un terzo scatta una foto che magari inserirà, essendone già stato uno dei redattori, nella prossima edizione della fortunata Guida dei e per i Clochards, “I gatti di Milano non toccano terra”. 
«Vivo nel Rifugio Caritas di via Sammartini a Milano», spiega ancora Hamid, che nel bisogno è precipitato, come accade spesso, per un incidente banale per cui ha perso il lavoro. «Ero operaio specializzato nella componentistica, dice con orgoglio, oggi sono disoccupato, ma l’Italia è una patria per me e vorrei tanto tornare a lavorare. Siamo tutti fratelli. Chi uccide non è un fedele dell’Islam, non crede nel Corano che dice di non rubare e non ammazzare». 

Un momento di serenità da festeggiare insieme  

Alle 13.00 precise, mentre nel cortile della Curia arrivano glii zampognari in costume del Gruppo “Picett del Grenta” di Valgreghentino che eseguono le tradizionali melodie natalizie, il Cardinale e i suoi ospiti sono intorno alla tavola da pranzo insieme al presidente della Caritas Ambrosiana, monsignor Luca Bressan, al direttore, Luciano Gualzetti e al vicedirettore, don Massimilano Sabbadini, con i responsabili del SAM, Sara Bellavite e Alessandro Pezzoni dell’Area Grave Emarginazione sempre di Caritas. 
A una cronista che chiede quale sia il “segno” che vuole dare con questo invito, è l’Arcivescovo stesso a rispondere con chiarezza: «Prima di tutto voglio godermi questo momento, avendo una possibilità di stare con la mia gente e, certamente, in tale  contesto chi è più nel bisogno è ancora maggiormente desiderato. Penso che possiamo trascorrere un poco di tempo insieme nella serenità per festeggiare la solennità di oggi che indica proprio l’apertura all’universalità. Universalità che, nonostante tutti i new media, non viene fuori nel profondo, perché quello che emerge, anche in questi giorni, è la divisione, la violenza, la guerra, il terrorismo. Quindi, mi fa molto piacere incontrare gli amici che hanno accettato di venire, anche perchè sono l’espressione di un’azione che la Caritas conduce in termini sistematici e organici nell’aiuto di chi è in difficoltà . Non servono intellettualismi, questo è un tempo nel quale ognuno di noi, nel rispetto della sua sensibilità e convinzioni, deve sentire la responsabilità di giocarsi con tutta la famiglia umana. Altrimenti è un’illusione pensare che le pur necessarie contromisure possano risolvere le cose. Solo con il coinvolgimento ne usciremo. Siamo tutti figli di un unico Padre, se non si fa il “salto di qualità” nel vivere con sobrietà, giustizia, amicizia, credo che non supereremo l’involuzione che sta interessando l’Europa da decine di anni. La questione è ritrovare l’uomo e che uomo vuole essere quello del Terzo millennio: un uomo in relazione o chiuso in se stesso?. Questa è la domanda». 

Il Dialogo durante il pranzo 

Infine, tutti seduti intorno al grande tavolo, coperto da una tovaglia bianca. Mentre passano le portate, diversificate per i fedeli islamici – pasta fresca al forno (regalata dai carcerati di Monza), arrosto di vitello, patate al forno, sformati di spinaci, frutta, Panettone e Pandoro con dolciumi, innaffiati da Bonarda, Prosecco e Moscato (si finisce con il caffè) – parte con semplicità il dialogo.  «Milano ha grande solidarietà nei nostri confronti. Noi che non abbiamo casa abbiamo bisogno di tutto ma in moltissimi ci aiutano, associazioni e privati», dicono gli ospiti all’Arcivescovo, chiedendo, tuttavia, «maggiore attenzione per bisogni che paiono piccoli ma sono fondamentali». 
Quali, ad esempio? «Non avendo un centesimo in tasca, come posso usare i bagni a pagamento delle Stazioni? Dove andiamo? È  una questione di dignità», la risposta. 
Ma una è la richiesta di tutti: tornare a essere autonomi. «Poter svolgere qualche lavoretto, oltre che per guadagnare qualche soldo, ci permetterebbe di impegnare il tempo, riacquistare fiducia in noi stessi. Lo faremmo anche come volontari”. 
E, prima del congedo, arriva anche il dono. Berretto, sciarpa, guanti per affrontare i rigori del freddo di questi giorni e una corona del Rosario «da usare quando vi sentite soli».
  

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