Il presidente della Fondazione Ambrosianeum è stato molto vicino al Cardinale e ha studiato a lungo la sua figura. Ecco il suo ritratto dell'Arcivescovo, tra Parola e profezia
di Gianni BORSA
«Il recupero dell’eredità spirituale del cardinale Carlo Maria Martini deve avere una chiave personale, deve toccare la nostra coscienza per poi essere, con maggior convinzione, testimoni del Vangelo. E, di certo, non dobbiamo mai farne un “santino”: sarebbe tradirne la memoria». Marco Garzonio, giornalista del Corriere della sera, presidente della Fondazione Ambrosianeum, è certamente una delle persone che sono state più vicine e che più ha studiato la figura del biblista, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002.
Il 31 agosto 2012 Martini si spegneva all’Aloisianum di Gallarate (Varese): Garzonio era al capezzale del vescovo. Dalla stanza al terzo piano di quella residenza dei Gesuiti prende avvio il film di Ermanno Olmi, intitolato Vedete, sono uno di voi, la cui sceneggiatura è scritta a quattro mani dal regista e dal giornalista. Si tratta di una delle numerose iniziative che si svolgono in questi giorni a Milano in occasione dei 90 anni dalla nascita di Martini, avvenuta il 15 febbraio 1927 (info www.fondazionecarlomariamartini.it)
Garzonio, partiamo da questo recupero della memoria. Quale il significato?
Ritengo si tratti di un’importante iniziativa di carattere storico, ma va intesa ancor più come occasione per verificare la continuità della semina evangelica che viene dal Cardinale, la freschezza e attualità di un messaggio che dura nel tempo e che ancora oggi ci interroga. Nei suoi anni a Milano leggiamo anche, in filigrana, una fase della storia cittadina e diocesana, così significativamente segnata dal magistero martiniano.
Lei parla di una “consegna” che trova numerose e significative corrispondenze tra i due gesuiti, Martini e Bergoglio. Ci può indicare qualche “punto di contatto”?
Sono davvero tanti! Potremmo partire dall’idea martiniana sul governo della Chiesa attraverso una “dimensione collegiale”. Si tratta di un suo antico desiderio che ritroviamo nella “sinodalità” cui ci richiama oggi papa Francesco. Segnalerei poi il costante richiamo del Cardinale ai temi legati alla famiglia, alle relazioni affettive: Martini insisteva sulla necessità di porsi in ascolto delle famiglie per rispondere ai loro bisogni. Ebbene, Francesco ha dedicato due Sinodi a questo tema. E poi i giovani, sempre presenti nel pensiero dell’Arcivescovo, dalla Scuola della Parola in avanti. E ora la Chiesa è chiamata a un nuovo Sinodo proprio sui giovani.
Altre sensibilità comuni? Ulteriori punti di contatto?
La centralità della Bibbia, ovviamente: il faro che guidava la vita e ogni azione e discorso del Cardinale; se andiamo oggi a rivedere le omelie di Santa Marta di papa Francesco troviamo appunto delle autentiche lectio divine. Ma, per continuare con gli esempi, potremmo citare la dimensione ecumenica, il ruolo della donna nella Chiesa, il costante richiamo al “sogno” («sogno una Chiesa…»), l’attenzione agli ultimi («farsi prossimo», i poveri, i carcerati, i migranti).
Martini “sognava” una Chiesa «lieta e leggera». Una visione che qualcuno ha definito profetica. Cosa ne pensa?
Una comunità fondata sulla Parola, vicina agli ultimi, «lieta e leggera», ma anche lievito nella società, piccolo granello di senape che accoglie le sfide poste dal mondo e s’impegna ad annunciare il messaggio di Gesù nelle pieghe della storia. Sì, quella di Martini è una visione profetica perché prospettica, che illumina la Chiesa dell’oggi e immagina quella del futuro. Pensiamo, ancora una volta, alla «Chiesa in uscita» di Bergoglio.
In Carlo Maria Martini ricorre il richiamo alla cultura, alla conoscenza. In che senso?
Per l’Arcivescovo e biblista non si trattava solo di una conoscenza intellettuale o di una comprensione umana della realtà. C’era, e c’è, di più. Egli partiva dal testo biblico per comprendere l’umanità e il mondo, così da portarvi la luce della fede.
E il «farsi prossimo»?
Il convegno sulla carità del 1986 ha anzitutto rappresentato, a mio avviso, la “conversione” di Martini alla città, e viceversa. Il passaggio da “scienziato della Scrittura” a pastore dal cuore grande. Tutto ciò avveniva – non va dimenticato – nel contesto della “Milano da bere”, tutta affari e politica. La diocesi guidata da Martini segnalava invece uno sgretolamento del tessuto sociale, la presenza diffusa della povertà e richiamava alla responsabilità della solidarietà. Una responsabilità, individuale e comunitaria, che si fonda su una inquietudine di fondo, la quale porta all’attenzione ai fratelli e al loro servizio.
Martini è ritenuto un buon comunicatore: è vero?
Era un ottimo comunicatore. Lo scopriamo rileggendo le due lettere pastorali sull’argomento, Effatà e Il lembo del mantello. Rivedendone lo stile nelle relazioni interpersonali e nella predicazione. Così pure nella sua particolare idea di “opinione pubblica” nella Chiesa, sempre invocata: una Chiesa che discute al suo interno, che ha qualcosa da dire al mondo, poi può e deve comunicare. Comunque direi che Martini era un ottimo comunicatore perché era una persona e un cristiano autentico.