Questo il “crinale” su cui si muove il continente, un compito urgente se non si vuole ridurre tutto all’ambito economico: l’ha sottolineato l’Arcivescovo all’apertura del Comitato scientifico di Oasis
di Francesca LOZITO
Cristiani e musulmani. Assieme, come paradigma del meticciato di civiltà. Anche in Europa. Oggi. È la ferma convinzione di questa possibilità che ha guidato la mattinata di apertura del Comitato scientifico della Fondazione internazionale Oasis, presieduto nell’aula magna dell’Università degli studi dal cardinale Angelo Scola.
Milano «terra di mezzo» – come ama definirla proprio l’Arcivescovo – per due giorni ospita l’incontro del decennale di questa realtà, nata dall’intuizione del cardinale Scola alla fine degli anni Novanta, quando, durante un incontro presso la nunziatura apostolica a Damasco a cui partecipò come rettore della Pontificia Università lateranense, fu incalzato da un confratello vescovo che lo invitava a «disporre di adeguati strumenti culturali per alimentare i cristiani laici nel mondo arabo». «Da quel momento – racconta Scola – quell’osservazione mi è rimasta dentro come un pungolo». Ha ricordato questa importante scintilla iniziale in apertura dei lavori Maria Laura Conte, direttrice editoriale e della comunicazione di Oasis: «Ben si addice a Oasis l’espressione sul crinale, che ci accompagna dall’inizio – ha aggiunto -: evoca quel sentiero stretto tra due pendii che, per quanta fatica implichi, promette lo spettacolo di un orizzonte ampio e mozzafiato».
Martino Diez, direttore scientifico della Fondazione, ha centrato il punto sull’attualità: «La protesta in corso a Istanbul e in altre città – ha detto – e su cui è certamente prematuro esprimere un giudizio, mostra che la questione della secolarizzazione non può essere ridotta a un conflitto tra i sostenitori di una visione laica di tipo tradizionale e i fautori di una teologia politica». Diez ha sottolineato come non sia un caso che la protesta «è scoppiata questa volta non intorno a un articolo della Costituzione o a una bozza di riforma, ma intorno a un parco e al progetto di trasformarlo in un centro commerciale, simbolo del nuovo benessere su cui il Partito al governo fonda le sue credenziali».
Benessere conquistato da una parte, dunque, e crisi dall’altra. Che, come ha ricordato l’Arcivescovo, «in Occidente non si limita all’ambito economico. Essa è anche crisi della rappresentazione e della rappresentanza politica e come tale investe partiti e istituzioni». Scola parla di «punto di svolta» con cui «devono fare i conti le comunità cristiane presenti in Europa. Uno dei motivi di fondo delle innegabili difficoltà che come Chiesa stiamo attraversando è il rischio di non reggere il paragone con questa nuova fase della storia; anzi, a volte sembriamo non renderci conto né dell’urgenza di tale paragone, né di che cosa esso implichi. Manchiamo il bersaglio. Da qui nasce, a mio avviso, come nostro compito specifico di cristiani in Europa, la necessità di una nuova interpretazione culturale della fede, e, più in generale, delle religioni».
Comprendere questo punto di svolta è per Scola la necessità di «vivere in ogni ambito dell’umana esistenza le dimensioni della fede cristiana fino alle sue implicazioni antropologiche, sociali e al rapporto con il creato». Chiede per questo all’Europa di fare «sintesi», Scola, di «aprirsi nuovamente alla dimensione del religioso, ma senza cedere alla tentazione di una sua ideologizzazione. Certo, significa camminare su un crinale – ha concluso l’Arcivescovo -, ma è il compito urgente dell’Europa. L’alternativa a questa visione culturale di ampio respiro è impostare i rapporti unicamente sul piano economico. Ma negli ultimi anni le soddisfazioni che l’economia sta dando a noi europei non sono certo esaltanti».
Pone ancora l’accento sull’Europa Remi Brague, professore emerito di Filosofia araba e medievale alla Sorbona di Parigi e detentore della cattedra Romano Guardini all’Università di Monaco di Baviera, che ha condotto una disamina sulla concezione di umanesimo e antiumanesimo, fino ad arrivare al fallimento dell’ateismo e al recupero di Dio, che, ricorda, «nel sesto giorno della creazione ammise che ogni cosa era molto buona». Ma come declinare questi concetti nella realtà concreta dei Paesi oggi? Sayyid Jawad al Khoei, assistente del segretario generale della al Khoei Foundation a Najaf in Iraq ha lanciato la proposta di un Iraq quale modello di pluralismo del Medio Oriente, con l’annuncio a marzo di quest’anno della «fondazione di un Consiglio iracheno per il dialogo tra le religioni» sulla base di una visione teologica aperta. Olivier Roy, direttore del programma mediterraneo dell’Istituto universitario europeo di Firenze, ha approfondito il tema dell’Islam politico oggi, evidenziandone rischi e estremizzazioni.