La "pulce" argentina sembra essersi finalmente calata nel ruolo di leader della sua Nazionale, ma sul suo cammino rischia di trovare un ostacolo nel brasiliano compagno di squadra nel Barcellona

di Leo GABBI

Lionel Messi

Nell’ecatombe di vittime eccellenti cadute al primo turno, il triste elenco che comprendeva già Inghilterra, Portogallo, Russia e i campioni uscenti della Spagna si è arricchito anche di un’Italia tra le più disastrose del dopoguerra. Forse solo la Corea nel 1966 e la Slovacchia nel 2010 hanno messo a nudo debolezze ancora più estreme rispetto alla miseria tattica e tecnica offerta dai ragazzi di Prandelli, che poi ha però avuto il merito morale di dimettersi subito dopo la disfatta, insieme al presidente federale Abete, azzerando di fatto i vertici del nostro calcio.

Male davvero l’Italietta, buttata fuori dall’Uruguay nell’ultima sfida, ma soprattutto annichilita sul piano fisico da una Costarica che improvvisamente è sembrata una squadra di marziani. Confusione tattica, gioco solo a sprazzi nella prima partita vincente con l’Inghilterra, che ci aveva illuso, e un pessimo approccio sul fronte della preparazione atletica, che in un caldo torrido come quello brasiliano, diventa il fattore fondamentale. Lo sapevamo, avevamo preparato a Coverciano persino una stanza che avrebbe dovuto riprodurre il tasso di calura e umidità, eppure i nostri girovagavano per il campo come moribondi, addirittura senza tirare in porta nell’ultima partita decisiva. Certo, ci si è messo anche l’arbitro con l’espulsione galeotta di Marchisio, ma non dimentichiamoci che proprio la giacchetta nera del match con l’Uruguay (che sinistramente si chiamava Moreno, come il nostro giustiziere in Corea) insieme a quella della partita col Costarica, ci hanno gentilmente scontato un paio di rigori solari. C’è che non ci siamo mai stati, che il ct Prandelli – da sempre ritenuto paladino del bel gioco – ha finito per difendersi a oltranza, terminando l’ultima partita senza attaccanti e senza un minimo di trama e che certi bluff sono venuti fatalmente a galla.

Balotelli non è un fenomeno come qualcuno crede (lui si è difeso dal fallimento lanciando farneticanti accuse razziali), la difesa non è all’altezza della tradizione, i nostri, al di là di Pirlo e qualche giovane, non hanno sufficiente talento per meritarsi un Mondiale diverso, mentre Cerci, l’uomo che ha giganteggiato in campionato, è stato relegato quasi sempre in panca. Così usciamo mestamente da un Mondiale che ci ha visti pallide comparse, mentre a livello di singoli, qualcuno nelle altre partite comincia a emergere.

Non sappiamo se trascinerà i suoi alla vittoria finale come fece Maradona nel 1986, ma Lionel Messi ha finalmente deciso di caricarsi la Nazionale argentina sulle spalle. Per troppi anni i suoi detrattori lo accusavano di fare il fenomeno con la maglia del Barcellona e di incidere pochissimo con quella del suo Paese: con le sue prime uscite al Mondiale brasiliano, la “pulce” ha smentito tutti, regalando giocate e gol degno del calciatore numero uno al mondo.

A opporsi alle mirabilie dell’argentino, c’è un suo compagno di squadra di club nel Barcellona, quel Neymar che, sta cercando con numeri di alta scuola di far sembrare il Brasile favorito in un Mondiale che finora ha espresso valori diversi. Eppure il campioncino nato a Mogi das Cruzes sta crescendo partita dopo partita, e oltre ai tanti gol già segnati, pur essendo ancora ragazzino, mostra già una personalità in grado di trascinare la sua squadra verso il sogno che un intero Paese reclama come unica soluzione possibile: la vittoria della Selecao al Mundial.

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