Con l’ingresso di capitali orientali nel capitale azionario la società rossonera saprà regalare soddisfazione ai suoi tifosi, interessati più ai gol che ai fatturati?
di Leo GABBI
Alla fine l’offerta tanto desiderata dai vertici rossoneri è arrivata: la cordata thailandese-cinese-araba rappresentata da Mr. Bee ha rilevato il 48% della società, portando in dote quasi mezzo miliardo, ma soprattutto lasciando la maggioranza alla Fininvest, con Silvio Berlusconi che continuerà a fare il presidente e la figlia Barbara e Galliani che continueranno a occuparsi della gestione operativa. Condizione ideale per i vecchi padroni del vapore rossonero, che però ora hanno un cospicuo tesoretto per una campagna acquisti che si annuncia faraonica, giusto per far dimenticare le ultime deprimenti stagioni, ricche soprattutto di delusioni sul campo e in panchina e condite da feroci contestazioni dei tifosi, tradizionalmente tra i più affezionati e pazienti d’Italia, ma che stavolta si sono sentiti presi in giro da proclami e promesse non mantenute, mentre i rivali storici della Juventus dominavano largamente in Italia fino a disputare una grande (e sfortunata) finale europea.
Adesso tutti auspicano un robusto cambio di passo, anche se sull’entità della cifra messa a disposizione della cordata asiatica molte sono le perplessità, espresse perfino dal presidente della Juventus Andrea Agnelli. Ma anche se tutto fosse confermato, resta da capire quanto un gruppo d’investitori così potenti che Mr. Bee è stato abile ad assemblare, e che spazia dalla Cina governativa fino agli sceicchi degli Emirati Arabi, sia disposto a fare da spettatore, mentre gli altri decidono i destini del club. Facile pensare che possano esserci accordi non resi pubblici, che prevedranno una graduale crescita delle quote: se anche così non fosse, visto il programma che vedrà in un paio d’anni la società Milan quotata alla Borsa di Hong Kong, gli stessi soci cinesi potrebbero arrivare alla maggioranza, rastrellando sul mercato un numero abbastanza modesto di azioni. Al di là di queste considerazioni resta un punto fermo: il brand Milan tira ancora, nonostante i rovesci degli ultimi anni.
Questo significa che quanto seminato da Berlusconi in 30 anni di successi non intacca le ultime stagioni deludenti: agli occhi di un tifoso cinese o coreano, giapponese o indiano, il Milan resta una (non più l’unica) delle squadre più titolate al mondo, capace di vincere 7 Champions League, mentre la formidabile Juventus degli ultimi anni deve fare i conti con un saldo molto negativo nell’Europa che conta, avendo perso sei delle otto finali Champions disputate. E come peraltro insegnano in questi anni Real Madrid e Manchester United, i veri profitti sul fronte merchandising (quella voce che in Italia, a causa dei troppi falsi, fatica a decollare) non si fanno in patria, ma vendendo magliette e accessori sui mercati esteri, soprattutto asiatici, dove avere la maglietta di un club europeo, mitico per i suoi campioni e i suoi successi, diventa un segno di distinzione. In Giappone, per oltre 15 anni, i rossoneri sono vissuti di rendita grazie alle treccine di Gullit e ai gol di Van Basten, mentre anche nell’ultima trasferta cinese di quattro anni fa, con il derby di Supercoppa italiana disputato a Pechino, il successo di Ibra e compagni ha ridato smalto a un marchio davvero internazionale, paragonabile alla Ferrari, alla Nutella o ad Armani. Vedremo se questo Milan con gli occhi a mandorla saprà regalare soddisfazione ai tifosi di casa, più interessati ai gol che ai fatturati.