Nei grandi tornei i bianchi arrivano sempre tra le prime quattro: giusto che siano loro i primi europei a vincere un Mondiale oltre Oceano. Anche se la finale è stata interpretata meglio dall’Argentina
di Mauro COLOMBO
«Il calcio è un gioco semplice, ventidue giocatori rincorrono un pallone per 90 minuti e alla fine vince la Germania…». La celebre affermazione coniata da Gary Lineker, grande attaccante inglese degli anni Ottanta e Novanta, è passata alla storia come indice della regolarità ad alto livello dei tedeschi nelle principali competizioni per squadre nazionali: prima di Europei e Mondiali l’unico dato certo è che, alla fine, tra le prime quattro ci sarà la Nationalmannschaft. È quindi legittimo che sia toccato a loro sfatare uno dei più antichi tabù del calcio: la vittoria di una rappresentativa del Vecchio Continente in un Campionato del mondo giocato oltre oceano.
La Germania porta a casa la sua quarta Coppa dopo un torneo nel quale ha messo in mostra un rendimento equilibrato e regolare. Il picco, naturalmente, è stato l’impietoso 7-1 in semifinale che ha gettato nello sconforto l’intero Brasile. La finale con l’Argentina è stata più avvincente che bella, come è inevitabile in un confronto in cui gli elementi delle due squadre dotati di maggior classe e fantasia – Özil e Messi – si sono assentati per gran parte del match (e il dato è più preoccupante per il fuoriclasse argentino, che ha mancato l’appuntamento più importante della sua carriera). Secondo indole e mentalità la Germania ha fatto la partita, invadendo la metà campo avversaria e cercando di imporre il tiki-taka rivisto in chiave teutonica. L’Argentina, dal canto suo, si è rintanata nel bunker, pronta a ripartire con la velocità dei suoi punteros.
Dato il copione, si può dire che a interpretarlo meglio sia stata l’Albiceleste. Nel primo tempo i cingolati della difesa tedesca hanno scricchiolato più volte sotto le folate di Lavezzi (il migliore) e compagni. Nella ripresa, uscito l’ex napoletano, gli argentini sono calati, ma sono riusciti a confezionare un’altra clamorosa palla-gol, dopo quella mancata da Higuain nella prima frazione: a sprecarla, stavolta, è stato Palacio. Nei supplementari l’impressione è che i sudamericani avessero finito la benzina (un giorno in meno di recupero dopo la semifinale vinta ai rigori con l’Olanda, mentre la Germania col Brasile ha scherzato dal 25° in avanti). E alla fine Mario Götze ha estratto dal cilindro il numero da fuoriclasse che ha risolto la contesa.
Nel complesso vittoria meritata, che premia la prestanza intimidatrice di Neuer, la classe di Lahm, lo strapotere atletico e tattico di Schweinsteiger, la disponibilità di Muller a trasformarsi all’occorrenza da primattore a spalla. E in tutto questo, forse, una piccola consolazione anche per l’Italia, sia pure raggiunta a quota 4 Coppe del Mondo vinte: dopotutto, quando c’è di mezzo un Mondiale, a battere regolarmente i tedeschi siamo solo noi…