Ha passaporto britannico, ma è nato in Kenya il vincitore del Tour de France, che ha sbaragliato il campo grazie a un fisico non comune e a un proficuo rapporto peso-potenza
di Mauro COLOMBO
La Union Jack sventola ancora sul podio del Tour. Dopo la vittoria di Bradley Wiggins nel 2012, il trionfo di Christopher Froome quest’anno, nell’edizione del centenario della Grande Boucle, che per l’occasione ha reso ancor più suggestiva la passerella finale sugli Champs-Elysées, conclusasi in notturna.
La vittoria di Froome è speciale per diversi motivi. Non è solo la seconda al Tour per il ciclismo britannico, un movimento che, grazie a Wiggins e all’ex iridato Cavendish, si sta scoprendo improvvisamente padrone. È anche il primo successo in assoluto per un corridore giunto dall’Africa: Froome, infatti, è nato a Nairobi, in Kenya, da una famiglia di diplomatici. Ed è soprattutto l’affermazione di un atleta che potrebbe essere il prototipo del campione moderno, soprattutto per le corse a tappe: longilineo, magro quasi da sembrare denutrito, eppure in possesso di un rapporto peso-potenza tale da andare fortissimo sia a cronometro, sia in montagna.
Se ne è accorto Alberto Contador – uno che di Tour de France se ne intende – quando, sulle micidiali rampe del Ventoux, se lo è visto scappar via con una frequenza di pedalate insostenibile per tutti gli altri. La performance di Froome sul “Monte Ventoso” – con un tempo di percorrenza inferiore a quelli di Armstrong e Pantani – ha subito destato sospetti. Non c’è da stupirsi, di questi tempi. Ma pare proprio che sia tutta farina (e non crusca) del suo fisico così insolito.
Per sgombrare il campo dagli equivoci, il suo team si è detto pronto a rendere noti i dati di quel piccolo computer che Froome tiene sul manubrio e dal quale riceve informazioni al secondo sulle condizioni del proprio organismo, regolando di conseguenza il comportamento in corsa. Fino a prova contraria, quindi, onore a Froome, anche per il modo in cui ha saputo gestire quei non pochi momenti in cui il presunto squadrone Sky si è squagliato come neve al sole, lasciandolo solo a rispondere agli attacchi degli avversari.
Tra i quali – detto di un Contador che fatica a tornare quello pre-squalifica, di un Rodriguez ammirevole per combattività e regolarità e di un Evans che purtroppo denuncia ormai il peso degli anni – si è messo in particolare evidenza il colombiano Quintana. Al debutto al Tour, rilevato il ruolo di caposquadra da un declinante Valverde, ha vinto una tappa, è salito sul secondo gradino del podio e ha vinto le graduatorie come miglior giovane e miglior scalatore. Il futuro gioca a suo favore.