Morto a 88 anni il campione ispano-argentino, uomo-simbolo del Real Madrid in campo e fuori. Per molti è stato il più grande calciatore di tutti i tempi

di Mauro COLOMBO

Di Stefano

Pelè? Certamente. Eusebio? Perché no? Beckenbauer? Nessun dubbio. Crujiff? Indiscutibile. Platini? Evidente. Maradona? Sicuro. Ronaldo? Fenomenale.

Il dibattito attorno al più forte calciatore di tutti i tempi si arricchisce di mille opinioni, tutte egualmente rispettabili. Se però si pensa al campione più completo di sempre, è molto probabile che i pareri convergano unanimi sul nome di Alfredo Di Stefano, la saeta rubia, scomparso ieri a 88 anni. Centravanti e regista, uomo-gol e perno del gioco, forte a 25 anni come a 35, sempre e ovunque leader carismatico e trascinatore. Con un solo “buco nero”: lui, che ha girovagato per tre Paesi (Argentina, Colombia e Spagna) vestendo la divisa dell’Albiceleste e poi della Roja, non ha giocato neppure una partita delle fasi finali di un Mondiale.

Storia avventurosa e romanzesca, la sua. Nato a Buenos Aires da padre di ceppo italiano e madre di origini franco-portoghesi, entra giovanissimo a far parte del River Plate, diventandone subito primattore. Un’agitazione sindacale dei calciatori argentini lo porta a emigrare in Colombia, ai Millionarios di Bogotà. E proprio in questa squadra affronta il Real Madrid del mitico presidente Santiago Bernabeu, che seduta stante ne decide l’acquisto. Ma anche il Barcellona ha messo gli occhi su Di Stefano e lo tratta col River. Sarà poi l’intervento diretto del Caudillo Franco a far prendere a Di Stefano la strada della capitale spagnola. E a Madrid l’argentino diventa la saeta rubia, la “saetta bionda”, per il colore dei capelli e la velocità con cui si proietta in ogni zona del campo. Quando Di Stefano arriva nel 1953, il Real non vince un campionato da 20 anni: con lui ne conquista 8 in 10 anni, oltre a 5 Coppe dei Campioni, che nel palmarès personale del campione si aggiungono a due Palloni d’Oro e a una Coppa America con l’Argentina, per un totale complessivo di 22 titoli.

Terminata la carriera di calciatore, intraprende quella di allenatore, vincendo ancora con Boca Juniors, Valencia e River Plate, meno col Real Madrid, al quale lega comunque indissolubilmente la sua leggenda anche come dirigente e uomo-simbolo, fino alla nomina, nel 2007, a presidente onorario: ruolo ricoperto con stile ed eleganza ineguagliabili. L’infarto che gli è stato fatale l’ha colpito mentre camminava nei pressi del “Santiago Bernabeu”, lo stadio teatro di tante sue imprese. In pratica è come se non avesse mai smesso la camiseta blanca.

Ti potrebbero interessare anche: