La bella storia di Davide Saitta, 26 anni: «Come in campo serve una pratica costante per compiere progressi, così nella fede»

di Cristina MARINONI

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Sulla maglia da gioco di Davide Saitta, palleggiatore della Exprivia Molfetta di serie A1 e della nazionale di pallavolo che ha vinto a settembre la medaglia d’argento agli Europei, fino all’anno scorso appariva il nome, al posto del cognome. «Il mio nome racchiude cari ricordi e un grande valore. Quando ero bambino e recitavo le lodi mattutine insieme a tutta la famiglia, mia madre raccontava del pastorello Davide che, armato della sola fede, sfidò il gigante Golia e lo uccise con un colpo di fionda. Re Davide mi accompagna da sempre e portare il nome di una figura tanto imponente mi riempie di orgoglio. Anche perché Davide significa amato da Dio: mio padre mi chiama direttamente così, a volte» spiega il pallavolista.

I genitori del 26enne campione catanese (che adesso preferisce apporre sulla divisa il cognome, «per non dare l’impressione di volermi distinguere, non era certo quello l’intento» precisa) sono profondamente cattolici. Hanno trasmesso la fede ai quattro figli e indirizzato loro al cammino neocatecumenale. Al risveglio, Davide si dedica ancora oggi alle Lodi: «La sapienza sta ai piedi del letto, un altro passo della Bibbia che mamma ripeteva» dice. Partecipa alla Messa festiva, anzi prefestiva – «per forza: trascorro le mie domeniche nei palazzetti» – e alla celebrazione comunitaria settimanale. «L’anno scorso mi ero lamentato per il calendario dei playoff, che ci costringeva a giocare la domenica di Pasqua. Il mondo del volley è umano, peccato che i suoi sani princìpi ogni tanto siano schiacciati dagli interessi economici», aggiunge. Davide prega anche prima di addormentarsi, al termine di una giornata intensa: «Tra doppi allenamenti quotidiani e studio, sono iscritto alla Facoltà di Giurisprudenza, mi restano otto esami per conseguire la laurea magistrale, il tempo che ho a disposizione per me stesso è davvero scarso. Eppure, il richiamo al raccoglimento si fa subito vivo, segno della continua necessità del dialogo con Dio. Come in campo serve una pratica costante per compiere progressi, così nella fede. Il rapporto con il Signore, al quale manifesto speranze, timori, dubbi, scandisce le mie ore e mi permette di vivere al meglio», assicura. Anche nelle difficoltà.

Davide ha lasciato la Sicilia a 16 anni: è vero, inseguiva il sogno della pallavolo, la sua passione più grande, ma non sono mancati i periodi di sconforto. Racconta: «Ho giocato a Latina, Treviso, Crema, Forlì, Perugia, Isernia, fino ad arrivare in Puglia, dove risiedo dal 2012: i continui trasferimenti mi hanno messo a dura prova. Città nuove, compagni diversi – e di rado credenti; la situazione non è cambiata, io, invece, sì: non avverto più il disagio di allora – allenatori sconosciuti. Come se non bastasse, gli affetti erano sempre distanti. La solitudine si presentava ogni volta e, ogni volta, sono riuscito a scacciarla grazie all’obbedienza a distanza ai miei genitori. Contro la mia volontà, in alcuni casi. Perché le delusioni e le insoddisfazioni sotto rete mi spingevano ad allontanarmi da Dio: è stata la voce di mamma e papà ad alimentare il bisogno di cibarmi ancora della Parola di Dio».

L’azzurro parla di «stagioni devastanti». Si riferisce all’adolescenza, quando erano altissime le aspettative nei suoi confronti: «Nel 2007 sono stato eletto miglior palleggiatore ai Mondiali juniores, ero considerato l’alzatore dal futuro più brillante» spiega, ma anche a episodi recenti. Uno su tutti risale al 2010. «Dal club di Forlì – ricorda – sono passato al Perugia. Dalla serie A1, con prospettive radiose, alla A2, in lotta per evitare la retrocessione. Tutte esperienze amare che mi hanno condotto, passo dopo passo, a dare il giusto peso allo sport, il mio lavoro. Come? Ridimensionandolo. È bastato questo per tornare a cercare la felicità sull’esempio di Cristo, non nelle futilità, nel prestigio o nel conto in banca. L’uomo nella prosperità non comprende, recita un Salmo e io dalle asperità ho tratto vantaggio: il Signore volge il male in bene. Proprio così. Sono cresciuto sia come uomo, perché sono tornato alle mie origini e ho ritrovato la strada che il Signore ha preparato per me, sia come atleta».

In campo Davide è il regista della squadra: tutti i palloni passano dalle sue mani, decide la strategia e li smista ai compagni che li attaccano per conquistare il punto. Un ruolo che comporta notevole responsabilità, insomma. «Al costante inseguimento della perfezione – dice – prima reagivo male ai miei errori e alle critiche; ora vivo la competizione con maggiore serenità». Davide è stato convocato nella nazionale seniores soltanto qualche mese fa: «Il ct Mauro Berruto mi ha telefonato mentre ero in Brasile per la Gmg. E forse nemmeno questo è un caso», conclude.

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